Ecco il numero primo più grande

Non è molto difficile scrivere un numero con circa quattro milioni di cifre. Basta mettersi con pazienza e riempire di simboli un quaderno di scuola. Ma è sicuramente difficile immaginare e soprattutto trovare un numero primo, cioè divisibile solamente per sé stesso e 1, con 4.053.946 cifre. A compiere l’ardua impresa è stato Michael Cameron. Che non è né un ricercatore né un genio. Ma un ragazzo canadese di 20 anni che partecipa al Gimps (Great Internet Mersenne Prime Search), un progetto che sfrutta circa 130mila computer in rete per andare alla ricerca di numeri primi. Occorre solo scaricare un software per il calcolo sul proprio computer e il gioco è fatto. Gimps, che è stato fondato da George Woltman nel 1996, ha impiegato complessivamente tredicimila ore di lavoro al computer per raggiungere questo obiettivo. Un progetto che ha già ottenuto risultati ma anche soldi. Nel maggio 2000, infatti, la Electronic Frontier Foundation ha premiato con 50mila dollari un partecipante di Gimps per aver scoperto un numero primo con un milione di cifre. La stessa fondazione ha già promesso centomila dollari per chi taglierà il traguardo delle dieci milioni di cifre.

In realtà 213.466.917-1, questo il numero che per motivi di spazio è espresso sotto forma di potenza, non è un semplice numero primo ma appartiene alla classe dei cosiddetti numeri primi di Mersenne (monaco francese del XVII secolo), quelli che si possono esprimere con la formula 2p-1, dove p è anch’esso un numero primo. Quello di Cameron è il 39esimo numero di questo tipo finora scoperto. Ma a che cosa servono praticamente i numeri primi? Ai profani può sembrare strano ma sono la materia prima per la realizzazione dei codici segreti. Soprattutto in quelli di tipo Rsa, dalle iniziali dei suoi ideatori negli anni Settanta Ronald Rivest, Adi Shamir e Leonard Adleman, detti anche asimmetrici perché provvisti di due chiavi: una pubblica per cifrare e l’altra privata per decifrare. I sistemi che hanno sostituito, soprattutto nella trasmissione di informazioni molto segrete, quelli simmetrici, ovvero quelli che per cifrare e decifrare hanno bisogno di una sola chiave, la tradizionale password.

Per capire come funzionano i sistemi Rsa occorre fare un semplice esempio. Ipotizziamo che Mario e Andrea vogliano comunicare segretamente tra loro. Ognuno ha una chiave pubblica che appunto tutti conoscono e che è in relazione con ciascuna chiave privata conosciuta solo dai proprietari. Quindi Mario cifra un messaggio utilizzando la chiave pubblica di Andrea e lo invia. A questo punto solo Andrea e nessun altro, paradossalmente neanche Mario, può decifrare il messaggio. È qui che intervengono i numeri primi: moltiplicare due numeri primi anche se molto grandi è estremamente facile, ma fattorializzare – scomporre in numeri primi – un numero con molte cifre è difficilissimo, se non impossibile. Di questo principio si avvalgono i sistemi di sicurezza asimmetrici: un teorema sulla scomposizione di un numero in fattori primi può diventare il meccanismo per trasmettere un messaggio in codice. L’affidabilità di questi codici deriva dal fatto che non è stato ancora trovato un algoritmo che riesca a scomporre un qualsiasi numero in numeri primi, e quindi bisogna procedere per tentativi. E siccome i numeri primi man mano che le cifre aumentano diventano più rari, l’impresa è a dir poco proibitiva. Non a caso chiunque voglia rompere una chiave privata “molto grande”, cioè volesse provare tutte le combinazioni possibili, impiegherebbe per il calcolo parecchie centinaia di anni. Ecco perché i sistemi Rsa saranno molto importanti per la messa punto della tecnologia della firma digitale, che, al contrario del metodo inventato 30 anni fa, è realizzata con una chiave privata, e può essere decodificata da una sola chiave pubblica.

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