“Non ho mai creato idee. Ho sempre risolto problemi”. Questo dice di sé Freeman J. Dyson, ed è strano sentir parlare così uno scienziato che di idee, invece, ne ha avute parecchie. E originali: matematico puro per formazione, convertitosi poi alla matematica applicata, Freeman Dyson è personaggio chiave della fisica del dopoguerra. Martedì 5 novembre lo scienziato inglese era all’Accademia dei Lincei, a Roma, a ritirare il premio Antonio Feltrinelli 1996 per la fisica. Gli abbiamo rivolto alcune domande. Un’intervista atipica e poliedrica, perché atipico e poliedrico è l’uomo che l’ha rilasciata.
Professore, molti giovani fisici, dopo aver studiato lo “sviluppo di Dyson” per l’elettrodinamica quantistica, scoprono con stupore che lei è lo stesso Dyson che già conoscevano dall’adolescenza, per averne letto il nome in racconti di fantascienza. Lei infatti ha studiato la possibilità dell’esistenza di civiltà extraterrestri. Perché un matematico fa ipotesi sulla vita extraterrestre? Questo suo interesse è connesso con gli studi che in seguito ha condotto sull’origine della vita?
“Sì, le due cose sono collegate. Mi sono sempre interessato all’astronomia e durante la mia infanzia leggevo libri di fantascienza. Per questo mi è sempre sembrato stimolante chiedersi se siamo soli nell’Universo. Oggi, cosa davvero emozionante, siamo in grado di esplorare il cosmo e, forse, di trovare la risposta a questa domanda. Naturalmente tutto ciò è connesso al problema dell’origine della vita. Non sappiamo ancora come la vita cominci e non sappiamo dove andare a guardare per scoprirlo. Ecco perché la vita extraterrestre e l’origine della vita sono due problemi collegati. Ma in realtà io cominciai a interessarmi quest’ultimo tema principalmente per il fatto di essere amico di Leslie Orgel, un chimico che lavora in questo campo”.
Nel 1959 lei suggerì di cercare eventuali prove dell’esistenza di civiltà extraterrestri registrando non solo i segnali radio provenienti dal cielo, come era previsto dal progetto Seti (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), ma anche quelli nello spettro infrarosso. Lei sostiene che tramite l’infrarosso è possibile rivelare anche civiltà che non inviano intenzionalmente messaggi verso la Terra. All’epoca il suo suggerimento non fu seguito. Oggi c’è qualcuno che cerca nell’infrarosso tracce di vita extraterrestre?
“No, non c’è molto. Al giorno d’oggi abbiamo ottimi telescopi a infrarossi orbitanti intorno alla Terra e tramite questi possiamo costruire una mappa del cielo “vista” nella luce infrarossa. Disponiamo di un catalogo di milioni di sorgenti sparse nell’Universo. Nessuno le ha studiate con particolare cura e non possiamo affermare che qualcuna di esse sia artificiale. Ma il punto è che alcune potrebbero esserlo. Perciò abbiamo ancora molto lavoro da fare. Per ora non esiste alcun programma che cerchi sorgenti artificiali, ma io credo che sia un errore”.
Nel suo libro “L’origine della vita”, lei propone un’ipotesi estremamente originale: che la vita possa aver avuto origine non a partire da molecole auto-replicanti, come quelle di Rna o Dna, ma da organismi primordiali in cui la riproduzione fosse distinta dalla replicazione di molecole.
“E’ esatto. La mia ipotesi è che goccioline di materiale proteico possano, in certe condizioni, scindersi e moltiplicarsi senza bisogno delle direttive di un “software” costituito dal codice genetico”.
Come è stato accolto il suo lavoro dalla comunità scientifica?
“I biologi non sono d’accordo, ovviamente! Il dogma ufficiale oggi è che tutto ebbe inizio a partire dall’Rna. Sono un eretico, insomma…. ma ciò mi rende piuttosto felice!”
Professor Dyson, nei suoi lavori lei presenta alcuni modelli semplificati per descrivere la possibile evoluzione delle popolazioni di questi esseri “quasi-vivi”. Ma lei stesso sottolinea le limitazioni dei modelli e le eccessive semplificazioni fatte. Qualcuno ha portato avanti queste ricerche, producendo modelli più realistici?
“Stuart Kaufmann, un biologo che ora è all’Istituto di Santa Fé, ha fatto qualcosa in questa direzione: alcune simulazioni al calcolatore. Ma non è molto. Di certo, nessuno si è ancora messo a fare esperimenti reali, in laboratorio, con le goccioline proteiche, per vedere se si riesce a ottenerne la riproduzione. Questo è ciò che io preferirei accadesse…”
Oggi, la fisica teorica si trova di fronte a un ostacolo formidabile: la teoria quantistica della gravità. L’impasse, per certi aspetti simile, in cui i fisici si trovarono nel quantizzare l’elettromagnetismo, fu superata sviluppando nuove tecniche matematiche, grazie a lei, Schwinger, Tomonaga e altri. Nel caso della quantizzazione delle interazioni forti, invece, quello che mancava era conoscere più a fondo la fisica: bisognava scoprire l’esistenza dei quark. Ora alcuni pensano che ci si trovi di fronte a un problema concettualmente nuovo, destinato a rimettere in gioco i fondamenti stessi delle scienze fisiche. Secondo Freeman Dyson quale fra queste strade va percorsa, per unificare le quattro forze fondamentali della natura?
“Ovviamente non lo so! La risposta potrebbe essere una o un’altra. Ma c’è un’ulteriore possibilità che io credo andrebbe presa in considerazione: che la gravità sia una forza puramente classica, che non esista affatto una gravità quantizzata! Per quanto ne so, non esiste un esperimento, neppure in via teorica, che possa dimostrare l’esistenza, prevista dalla teoria quantistica della gravità, di una particella che chiamiamo gravitone. Non c’è modo, in linea di principio, di stabilire se il gravitone esiste. Perciò potrebbe anche darsi che la gravità sia solo un campo classico, che non si possa unificare alle altre forze quantistiche, e che l’intera avventura della gravità quantistica sia tutta un errore. Non sto dicendo che la penso così, ma che credo sia una possibilità da considerare seriamente”.