Qualcuno forse ricorderà i chimici americani Martin Fleischmann e Stanley Pons. Undici anni fa sbalordirono la comunità scientifica e l’opinione pubblica internazionale con l’annuncio di una rivoluzionaria scoperta: la fusione nucleare “fredda”. Purtroppo, non portarono prove sufficienti a sostegno della loro teoria e furono sconfessati. Ma il fiasco di Fleischmann e Pons non ha fermato le ricerche. E porprio in questi giorni dalla “Conferenza internazionale sulla fusione fredda”, appena conclusasi a Lerici sotto l’egida dell’Enea, arriva un importante verdetto: ci sarebbero prove che nel processo si verifica effettivamente una reazione nucleare di fusione che sviluppa un’energia superiore a quella impiegata per sostenere l’esperimento. “Il condizionale è ancora d’obbligo”, afferma però Franco Scaramuzzi, che con Giuliano Preparata (scomparso alcuni giorni fa) è stato il pioniere in questo campo di studi nel nostro paese. “I risultati finora ottenuti – prosegue – non favoriscono entusiasmi: il calore prodotto equivale a pochi milliwatt e ha un bilancio energetico attivo con un massimo del 10 per cento, cioè si forniscono 100 Watt per ottenerne 110”. Questo dato, secondo Scaramuzzi, fa comunque “pensare che siamo sulla buona strada”. “Non è da escludere – conclude Scaramuzzi – che prima o poi la fusione fredda possa avere ricadute importanti in campo energetico, realizzando l’unica fonte veramente pulita”. Viste le esperienze passate, però, è meglio essere molto cauti: undici anni fa fu l’eccessivo entusiasmo a rovinare Fleischmann e Pons. (v.cam.)
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