Giù le mani dalle donne

Donne e bambine stuprate e prese in ostaggio nei conflitti armati, soggette a mutilazioni genitali, costrette a matrimoni forzati, vendute sul mercato della tratta. La violenza sulle donne è un flagello globale che affligge un terzo della popolazione femminile nel mondo. Per questo l’Onu ha lanciato la campagna “Say No to Violence against Women”. Un flagello che non è poi così lontano da noi, che non si abbatte solo sui paesi in via di sviluppo o su quelli in guerra. Basta mettere il naso fuori dalla porta, nelle stanze di una vicina di casa o tra le mura domestiche di una collega di lavoro. In Italia sono oltre sei milioni le donne che nel corso della loro vita hanno subito uno stupro, un tentato stupro o un’altra forma di violenza fisica. Quasi due milioni quelle che hanno fatto i conti con questa realtà negli ultimi dodici mesi. Una schiera di vittime troppo spesso silenziose. Nasce per aiutare queste donne l’iniziativa “Progettoitalia” di Pangea onlus che, con il patrocinio di Mediafriends e Donna Moderna, lavorerà in partnership con quattro centri antiviolenza italiani per sostenere il percorso di autonomia al femminile. In vista della giornata internazionale della donna Pangea promuove dal 1 al 20 marzo una campagna di raccolta fondi a favore del progetto attraverso l’invio di un sms solidale al numero 48584.

“Abbiamo sempre lavorato per le donne dei paesi del sud del mondo”, spiega Simona Lanzoni, responsabile progetti di Pangea. “Ma le donne, in qualunque parte del mondo vivano, sono vittime di una discriminazione trasversale. Il progetto vuole rappresentare un ponte tra questi due mondi, un filo rosso che unisce indistintamente le donne in Italia e quelle nel resto del mondo”. Pangea lavorerà con quattro centri del nord e del centro per garantire alle vittime la possibilità di trovare accoglienza in luoghi lontani da quello in cui sono a rischio, per permettere loro di elaborare un progetto di vita autonomo garantendo supporto legale, psicologico e psicoterapico. È previsto, infatti, il supporto dei costi per la creazione di laboratori artigianali, di cooperative sociali e di piccole microimprese per coloro che sono pronte a uscire dal centro antiviolenza e che hanno capacità o talenti professionali da sfruttare. Non solo, anche un serio intervento per garantire una formazione e un aggiornamento continui delle operatrici dei centri.

I centri, che in Italia sono circa un centinaio, prevalentemente diffusi nel nord e nel centro, devono fare infatti i conti con problemi di finanziamento. “Spesso non si riesce a evadere tutte le richieste delle vittime. I fondi erogati dallo Stato non sono regolari e sono insufficienti a coprire l’intera spesa di gestione dei centri di accoglienza e delle case rifugio, nonché le spese di formazione delle operatrici”, continua Lanzoni. “I centri antiviolenza sono così costretti a uno stato perenne di precarietà, le operatrici che vi lavorano sono spesso volontarie e si formano a loro spese in maniera professionale”.

Ma chi sono le donne che hanno subito violenza? Secondo la fotografia scattata dall’ultimo rapporto Istat, che ha preso in esame con interviste telefoniche 25mila donne tra i 16 e i 70 anni, ben 5 milioni sono vittima di violenza sessuale (23,7 per cento del campione) e quasi 4 di violenza fisica (18,8 per cento). Tra tutte le forme di violenza sessuale, le più diffuse sono l’essere stata toccata sessualmente contro la propria volontà (79,5 per cento), l’aver avuto rapporti sessuali non desiderati (19,0 per cento), il tentato stupro (14,0 per cento), lo stupro (9,6 per cento) e i rapporti sessuali degradanti e umilianti (6,1 per cento). In quasi il 15 per cento dei casi almeno un caso di violenza fisica o sessuale si è consumato all’interno della relazione di coppia, per mano di un partner o di un ex partner. La percentuale è invece del 24,7 per cento per le violenze a opera di un altro uomo.

In qualunque modo si manifestino, comunque, nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate e il sommerso raggiunge circa il 96 per cento per quelle subite da non partner e il 93 per cento per quelle dal partner. Considerando la distribuzione territoriale, le vittime sono concentrate per lo più al nord-est, nord-ovest e al centro e nelle gradi città (42 per cento). Eppure non sempre la violenza è percepita come qualcosa di sbagliato. Appena il 18 per cento delle donne vittime in famiglia la considera un reato, per il 44 per cento è qualcosa di sbagliato mentre per il 36 per cento lo definisce “qualcosa che è accaduto”. Anche nel caso di stupro o tentato stupro, solo il 26,5 per cento delle donne lo ha considerato un reato. Non bisogna dimenticare poi la violenza psicologica, che coinvolge oltre 7 milioni di donne. Le forme più diffuse sono l’isolamento o il tentativo di isolamento (46,7 per cento), il controllo (40,7 per cento), la violenza economica (30,7 per cento) e la svalorizzazione (23,8 per cento), seguite dalle intimidazioni nel 7,8 per cento dei casi.

Da due anni le donne vittime di violenza possono rivolgersi al call center voluto dal ministero delle Pari Opportunità (1522). Intanto, non mancano alte iniziative, come quella dell’Unione donne in Italia (Udi) che il 5 marzo, in occasione dell’udienza per il ricorso voluto dalla difesa di un medico-violentatore, si riuniscono per un sit in davanti alla Corte di Cassazione a Roma. L’evento vuole essere lo spunto per dimostrare solidarietà a tutte le vittime di violenza.

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