Grillo: siamo davvero a rischio tubercolosi?

Dopo l’epidemia di Ebola africana, che continua a fare paura anche in Europa, il nuovo allarme scattato al rientro dalle vacanze unisce questa volta le paure per la salute con un altro tema caldo: quello dell’immigrazione. A dare fuoco alle polveri questa volta ci ha pensato Beppe Grillo, che dal suo blog ha rilanciato nei giorni scorsi la notizia di una class action avviata dal sindacato di polizia Consap contro il Ministero della Salute, colpevole di non aver fornito agli agenti impegnati nella gestione dei migranti sufficienti strumenti di prevenzione per evitare il contagio della tubercolosi. Oltre 40 agenti, ha spiegato in un intervento sul blog il segretario generale del Consap Igor Gelarda, sarebbero infatti risultati positivi al test di Mantoux, uno strumento diagnostico che valuta il contatto dell’organismo con il batterio della Tbc. Se gli agenti chiedono al Ministero di mettere a disposizione gli strumenti di prevenzione necessari, e di assistere il personale che ha contratto il contagio, Grillo fa un passo in più, accusando la politica (e in particolare quei “radical Chic della sinistra”) di non fare nulla di fronte al “ritorno di malattie debellate da secoli in Italia”, e ricordando come i nostri bisnonni all’ingresso negli Stati Uniti “dopo aver visto la Statua con la fiaccola accesa, venivano subito confinati a Ellis Island in quarantena”. Ha ragione Grillo dunque? Gli immigrati potrebbero causare il ritorno nel nostro Paese della Tbc, e andrebbero quindi messi in quarantena? Vediamo di fare chiarezza.

Test, infezione e malattia.

Per prima cosa è importante capire come funziona la tubercolosi. A causare la malattia è un batterio chiamato bacillo di Koch, o mycobacterium tuberculosis. Il microorganismo si trasmette per via aerea, attraverso il contatto con le microscopiche goccioline di saliva espulse con la tosse da un paziente che ha già sviluppato la malattia. Nonostante le probabilità di essere infettati siano molto basse, e serva quindi un contatto prolungato con un malato (giorni se non settimane) per correre dei rischi concreti, il batterio è comunque estremamente diffuso, tanto che si stima che circa un terzo della popolazione mondiale sia portatrice di un’infezione latente da mycobacterium tuberculosis. Una forma latente però è molto diversa dalla tubercolosi vera e propria: in seguito all’infezione infatti il batterio può restare nell’organismo sopito e asintomatico per tutta la vita, e solo il 10% dei pazienti (in buone condizioni di salute) sviluppa poi la malattia nel corso della vita. Per scoprire se si è portatori di un’infezione latente esistono dei test. Il più antico è quello sviluppato dal medico francese Charles Mantoux, quello utilizzato sui poliziotti italiani, che ha però una bassa specificità (può risultare positivo anche un paziente altri batteri più o meno innocui simili a quello della tubercolosi) e presenta quindi un alto rischio di falsi positivi.

Positivo non vuol dire malato.

Gli agenti risultati positivi al test di Mantoux sono quindi infetti? Non necessariamente. Come spiegava in un’intervista del mese scorso il Direttore Centrale di Sanità della Polizia di Stato Roberto Santorsa, per ora nessun agente risulta malato di tubercolosi, e per nessuno è stata ancora accertata la presenza di un’infezione latente. La positività al test infatti, raccontava Santorsa: “non vuol dire malattia o contagio, ma rappresenta soltanto una condizione che va ulteriormente studiata, per definirne il significato”. Per alcuni infatti potrebbe infatti trattarsi di falsi positivi. E anche per chi fosse realmente portatore di un’infezione latente, è impossibile stabilire a quando risalga il contagio, che potrebbe quindi essere avvenuto anche a molti anni di distanza, e non necessariamente attraverso il contatto con un malato proveniente da un altro paese. Questo perché, nonostante quello che dice Grillo, la tubercolosi anche in Italia non è ancora una malattia debellata.

La tubercolosi in Italia.

Nonostante oggi la maggior parte dei casi di tubercolosi sia concentrata nei paesi in via di sviluppo, nel nostro Paese (così come in tutte le nazioni occidentali) sono ancora diverse migliaia i casi riportati ogni anno. “Come in tutti i paesi dell’Europa Occidentale, in Italia i casi di tubercolosi sono andati declinando stabilmente durante tutto l’ultimo secolo, stabilizzandosi negli ultimi decenni su circa 7 nuovi casi ogni 100.000 abitanti ogni anno”, spiega Mario Roviglione, direttore del Global Tb programme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Abbiamo dunque una percentuale di nuovi malati bassa ma ancora presente, e che è rimasta stabile per almeno un decennio, nonostante i mutamenti nei flussi migratori. Non si può quindi parlare (come fa Grillo) di una malattia debellata da secoli, ma semmai di una malattia che non siamo ancora riusciti a sconfiggere definitivamente.

Si può fare di più?

Non è allarme tubercolosi dunque, ma non per questo la malattia deve essere sottovalutata, visto che anche da noi ogni anni uccide ancora alcune centinaia di persone. “L’Italia è un paese a basso rischio per la tubercolosi, e quindi può puntare a debellare completamente la malattia”, continua Roviglione. “Per farlo, va dedicata una speciale attenzione alla popolazione a rischio: ad esempio pazienti con patologie come l’Aids o il diabete, che hanno un rischio maggiore di sviluppare la tubercolosi, e anche chi arriva da paesi in cui la tubercolosi è ancora diffusa. Le quarantene però non hanno senso da un punto di vista scientifico. Bisogna piuttosto sfruttare i protocolli esistenti, focalizzare gli sforzi e adeguare le normative”. Quello che serve quindi sono centri attrezzati dove accogliere i migranti e, quando necessario, convincerli a sottoporsi alla profilassi, che con i farmaci più recenti è in grado di eliminare completamente il rischio di sviluppare la tubercolosi in soli due mesi. Non va dimenticato però che la malattia uccide milioni di persone in tutto il mondo, e difficilmente può quindi essere sconfitta senza una strategia globale. “È per questo che l’Italia deve tornare a sostenere la prevenzione della tubercolosi a livello internazionale”, conclude Roviglione. “La malattia d’altronde può arrivare nel nostro paese da qualunque parte, dai paesi dell’est come da quello dell’Africa, dell’Asia o del Sud America, ed è impossibile bloccare completamente tutti questi flussi migratori”.

Via: Wired.it

Credits immagine: Orazio Esposito/Flickr

2 Commenti

  1. Purtroppo la gestione razionale dell’immigrazione continua ad essere un argomento tabù. La grande maggioranza dei giornalisti e dei politici non è in grado di affrontare usando la ragione.

    A causa di questo tabù il governo italiano (da Letta in poi) con le proprie politiche è stato l’artefice di un enorme disastro umanitario.
    Sebbene i nostri governanti fossero stati ben informati da vari analisti (a partire da frontex: esistono documenti ufficiali!!) che avrebbero innescato un circolo vizioso che avrebbe prodotto un’enorme esodo di massa, il quale avrebbe causato molte vittime…, hanno preferito ignorare la cosa.

    Temo che anche sulla questione dei pericoli sanitari stia prevalendo l’atteggiamento “negazionista” !

  2. infatti grillo non ha detto positivo = malato, quindi anche i vostri titoli dovreste sceglierli con + accuratezza se non volete diventare come tutta l’altra editoria

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