La rivoluzione tecnologica del nostro tempo non vuol dire soltanto innovazione hi-tech, significa soprattutto Big Data. Una quantità enorme di informazioni che proviene da fonti molto diverse, come i social network, il traffico autostradale o quello informatico. Risorse solo apparentemente distanti, che possono essere analizzate per spiegare fenomeni complessi. La possibilità di collezionare e analizzare questi dati è alla base di una nuova scienza chiamata Big Data Analytics, con applicazioni che spaziano dalla medicina al marketing. Delle potenzialità e dei suoi rischi abbiamo parlato con Gianraffaele Percannella, esperto di elaborazione dell’informazione, sicurezza e telecomunicazioni e divulgatore scientifico.
Dottor Percannella, sentiamo sempre più spesso parlare di Big Data. Potrebbe spiegarci cosa sono?
“Per Big Data si intende la possibilità di trarre inferenze cognitive evolute da fonti di dati disomogenee. Cioè la capacità di mettere proficuamente insieme mele e pere. Mi spiego: dati meteo e dati di viabilità hanno una correlazione naturale. Viene a tutti immediato pensare che alcune condizioni meteorologiche possano rendere meno sicura la circolazione, per esempio la scarsa visibilità. Ma questo è vero in ogni tratto di strada? Un esempio di Big Data è correlare statistiche su incidenti, condizioni meteo e aspetti paesaggistici. Si tratta di un esempio abbastanza forzato ma serve per capire. Si può ipotizzare che un certo tratto di strada molto panoramico induca più tamponamenti quando la giornata è bella e c’è la massima visibilità perché questo distrae i conducenti che, in condizioni di cattiva visibilità, sarebbero più concentrati sulla strada che sul paesaggio. Ecco, i Big Data servono per avere una visione più olistica dei fenomeni. Il che ci porta, a volte, a mettere in severa crisi i nostri preconcetti”.
Da dove sono ricavati questi dati?
“Nell’ambito industriale, tutti i dati sono sempre e comunque raccolti nel rispetto delle legislazioni vigenti attraverso diverse fonti. Non esistono eccezioni. Esistono migliaia di basi dati sulle quali tutti abbiamo espresso il nostro consenso alla raccolta e memorizzazione delle informazioni pena l’indisponibilità di un servizio. Su altre basi dati, magari non indispensabili per l’erogazione dei servizi, acconsentiamo alla raccolta e alle elaborazioni più o meno consciamente. Ad esempio quando partecipiamo a una promozione o riceviamo piccoli regali o servizi gratuiti”.
Le indagini di marketing però si fanno già per ottenere dati e informazioni. Quali sono le differenze con la Big Data Analytics?
“Prendiamo un’azienda che commercializzi un prodotto X. Si nota che vende di meno nei mesi invernali. I processi di raccolta di informazioni aziendale, o business intelligence per semplificare, mi portano a dire che si tratta di un prodotto stagionale, i Big Data mi aiutano a capire il perché della sua stagionalità”.
Esiste un limite alla legittimità delle informazioni che è possibile ricavare?
“Su quali conclusioni sia legittimo estrarre non è possibile fare una valutazione. Porre dei limiti ‘etici’ alla ricerca scientifica non ha mai funzionato”.
Dei rischi però esisteranno. Queste informazioni per esempio potrebbero essere utilizzate al di fuori del contesto aziendale.
“Ogni lavorazione industriale comporta dei rischi. L’elaborazione di Big Data non ne è esente. Comunque, tutte le ricerche e le lavorazioni si svolgono nel rispetto più assoluto della privacy dei singoli. Infatti, quello che interessa non è sapere cosa mangia il signor X, ma cosa “mediamente” mangiano i signori X, Y, Z e così via. Nessun processo industriale, infatti, ha la pretesa e la possibilità di adattarsi all’esigenza di un singolo. Sarebbe uno sforzo enorme, non affidabile e che risulterebbe non conveniente economicamente. L’utilizzo di dati in ambiti per i quali non sia stata concessa esplicita autorizzazione è da ritenersi fraudolento e, per definizione, rischioso”.
Si parla spesso di rischio informatico, anche legato al terrorismo. Con i Big Data cambia qualcosa?
“Il rischio “informatico” esiste, ed è misurato in ragione della dipendenza di un sistema rispetto alle strutture informative su cui poggia. Più incentriamo la nostra attività quotidiana sulla disponibilità di elaborazioni elettroniche, più siamo esposti al rischio che la struttura sia sabotata. D’altra parte, un Paese moderno non può rinunciare all’efficacia e all’efficienza che le telecomunicazioni e l’elaborazione dei dati garantiscono. I teorici della decrescita felice e dell’indipendenza dall’automazione non tengono conto del fatto che le attuali condizioni di salute e di benessere della popolazione sarebbero impossibili senza l’ausilio dell’infrastruttura tecnologica della quale ci siamo dotati. Nella lotta al crimine e al terrorismo i Big Data sono una grande opportunità. Uno strumento che potenzia la naturale propensione dell’investigatore a mettere insieme fatti apparentemente sconnessi per ricostruire il fil rouge di vicende intricate”.
Come definirebbe il livello di sicurezza e intelligence informatica in Italia?
“Purtroppo, nel nostro Paese non esiste l’attitudine tutta anglosassone di condividere apertamente con i cittadini gli obiettivi e le strategie di massima dei servizi segreti. Si veda la differenza di organizzazione tra i siti della difesa italiani e quelli statunitensi o inglesi. Sull’argomento, quindi, non è possibile esprimere una valutazione basata su dati ufficiali, per cui sono costretto ad astenermi dal rispondere”.
Mi sembra un articolo con poca sostanza che banalizza l’argomento trattato e dimostra poca competenza.