I neoluddisti che amano la Rete

Sarà una coincidenza o l’hanno fatto apposta? I rappresentanti del Fondo monetario internazionale (Fmi) e della Banca mondiale (Bm) hanno eletto proprio Praga, che per circa quaranta anni è stata la capitale di una nazione del blocco sovietico, come luogo di ritrovo per il loro 55-esimo summit annuale, cioè la massima celebrazione dell’ultima frontiera dell’economia occidentale: la globalizzazione. E come era già accaduto a Seattle e a Bologna, il variegato Movimento che si oppone a questo processo economico ha organizzato un contro-evento che si è trasformato anche in un duro confronto con le forze dell’ordine già ai confini della Repubblica Ceca.

E anche questa volta i contromanifestanti hanno accusato i media “istituzionali” di scarsa attenzione nei loro confronti e soprattutto di mistificare le loro posizioni. Galileo ne ha discusso con Franco “Bifo” Berardi storico personaggio della contestazione del ‘77 e ancora oggi in prima fila nel Movimento contro la globalizzazione economica.

Cosa pensa del rapporto tra i mass media e il Movimento, che è finito per la prima volta sotto i riflettori in occasione del summit di Seattle ?

“I media hanno colto la novità del Movimento di Seattle. Questo è dovuto anche alla posizione nuova assunta da Internet nel sistema globale della comunicazione. Dal novembre del 1999 Internet ha assunto una posizione di riferimento essenziale nell’intero sistema mediatico. Ma la Rete non è solo uno strumento di comunicazione. E’ una sfera pubblica entro cui diviene possibile una forma diversa del lavoro e dell’organizzazione sociale. Il Movimento globale non si può immaginare senza la Rete, perché la stessa globalizzazione non si può immaginare senza la Rete”.

Alcune delle richieste del Movimento, per esempio sulla protezione dell’ambiente o sui diritti dei lavoratori, sono considerate dai Paesi in via di sviluppo come un freno alle loro aspirazioni di indipendenza economica. Non è anche questo il sintomo di un problema di comunicazione, visto che il Movimento si batte proprio per i diritti dei Paesi più deboli?

“Il problema principale oggi non è più quello comunicativo. Da questo punto di vista il Movimento ha ottenuto dei risultati buonissimi. Ma adesso si trova di fronte alla necessità di compiere un salto di tipo strategico e organizzativo. Il ricatto dei gruppi economici più potenti si fonda proprio sul bisogno disperato di lavoro da parte dei paesi e delle popolazioni del “sud”, che sono costrette a subire qualsiasi ricatto. Pensi alla parola d’ordine di salario minimo planetario: non può divenire un obiettivo realistico proprio perché il mercato globale del lavoro è in condizione di totale subalternità. In sostanza, si troverebbe sempre qualcuno più disperato disposto a lavorare per meno. Per tutto questo io non credo che l’effetto di questo Movimento si potrà manifestare sul piano del rapporto “nord sud”, ma sul piano dei rapporti interni alla classe virtuale”.

L’immagine dei partecipanti alle contromanifestazioni è quella di luddisti del terzo millennio: gente che si oppone a qualsiasi progresso scientifico e tecnologico. Cosa risponde?

“Effettivamente, l’immagine che il movimento ha dato di sé su questo punto è ambigua. Buona parte, forse la maggioranza, degli attivisti globali si è identificata con lo slogan: “stop globalization”. Ma questo slogan, anche se ha avuto la funzione di sintetizzare un sentimento assai diffuso di paura e di rifiuto, ora deve evolversi. Il punto non è fermare la globalizzazione, ma rendere possibile l’autogoverno sociale dei processi in cui si manifesta. La questione essenziale è proprio l’autocoscienza dei lavoratori della innovazione scientifica e tecnologica. Tutto il contrario di un movimento luddista. Si sta aprendo una battaglia epocale tra integralismo antitecno e tecnofilia liberista. Sul decisivo terreno delle tecnologie della vita rischia di delinearsi una contrapposizione disastrosa tra liberismo e oscurantismo, come dimostra il recente scontro tra le posizioni del governo britannico e quella del Vaticano sul tema della clonazione di organi a scopo terapeutico. Uscire da questo dualismo implica l’organizzazione della ricerca fuori dalla dittatura del profitto. Il nostro compito è quello di rendere possibile questo processo di autorganizzazione del lavoro cognitivo”.

Marshall Mc Luhan scriveva: “La terza guerra mondiale sarà una guerra dell’informazione, senza distinzione tra civili e militari”. La nascita di diverse realtà di informazione indipendenti, per esempio Indymedia, che contrastano i mass media istituzionali conferma questa previsione?

“Non è in corso nessuna guerra. C’è una dittatura cieca dell’economia sulla tecnica e sulla scienza. Ma la tecnica e la scienza sono il prodotto di esseri umani pensanti. Indymedia è uno strumento di comunicazione che si propone di rendere possibile l’autorganizzazione del lavoro cognitivo. Comunque Mc Luhan aveva capito l’essenziale del processo che noi oggi stiamo vivendo”.

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