Il dna sopravvive nello Spazio

Una delle ipotesi più affascinanti sull’origine della vita è che a portarla sulla Terra siano stati dei meteoriti, precipitati sulla nostro Pianeta nel remoto passato. Ad avvalorare questa tesi ci sono per esempio i recenti risultati della missione Rosetta, che avrebbe dimostrato la presenza di molecole organiche sulla cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko. In attesa che le analisi di sonda siano confermate, un ulteriore indizio della possibile origine extraterrestre della vita arriva oggi da uno studio dell’Università di Zurigo, che svela sulle pagine di PLoS One come il dna possa sopravvivere al rientro di un corpo celeste nella nostra atmosfera.

Lo scopo dei ricercatori svizzeri era di analizzare la stabilità delmateriale genetico nello Spazio. Per farlo hanno sfruttato il razzoTexus-49, lanciato nel 2011 per effettuare una serie di esperimenti scientifici al di fuori dell’atmosfera terrestre. Il team dell’Università di Zurigo ha avuto la possibilità di attaccare alloscafo esterno del razzo diversi contenitori in cui hanno inserito speciali filamenti di dna sintetico (o plasmidi) progettati per perdere completamente le loro funzioni al minimo danno strutturale.

Analizzando i campioni al ritorno, cioè dopo un viaggio di 13 minuti nello Spazio e temperature che durante il rientro nell’atmosfera avevano raggiunto anche i 1.000 gradi, i ricercatori pensavano di trovarne solo una minima parte. Hanno invece scoperto che il 53% dei plasmidi era sopravvissuto, e che il 35% era ancora perfettamente intatto, e in grado di funzionare normalmente.

I risultati, spiegano i ricercatori, hanno diverse implicazioni importanti. Dimostrano innanzitutto che il materiale genetico può sopravvivere ad un viaggio nello spazio, e all’ingresso nell’atmosfera di un pianeta. Le condizioni estreme sopportate dai campioni non fanno che confermare inoltre la possibilità che esistano forme di vita al di fuori del nostro pianeta, capaci di sopravvivere anche in ambienti estremamente ostili, come potrebbe per esempio essere stata in passato la superficie diMarte. Oltre ad accendere le speranze dei cacciatori di vita extraterrestre, lo studio fa suonare però anche un campanello d’allarme: le nostre sonde potrebbero inquinare altri pianeti col ildna terrestre.

“I risultati – spiega Oliver Ullrich, coordinatore dello studio –dimostrano che non è per nulla improbabile che, nonostante tutte le precauzioni prese, le astronavi possano trasportare dna terrestre sul luogo del loro atterraggio. Bisogna assolutamente tenerne conto nelle nostre ricerche della vita su altri pianeti”.

via Wired.it

Credits immagine: via Pixabay

Simone Valesini

Giornalista scientifico a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. Laureato in Filosofia della Scienza, collabora con Wired, L'Espresso, Repubblica.it.

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