Categorie: Salute

“Il prione è ancora un pericolo”

Era il 1996 quando dalla Gran Bretagna arrivarono le prime segnalazioni di casi umani di quello che sarebbe passato alla storia come il morbo della mucca pazza, variante della rara malattia neurodegenerativa di Creutzfeld-Jakob. L’agente infettivo, il prione, una proteina tossica capace di replicarsi e accumularsi nel cervello, proviene dalla carne dei bovini infetti da Bse (Bovine Spongiform Encephalopathy). A dieci anni di distanza dalla più grave crisi alimentare che ha toccato l’Europa, uno dei maggiori esperti mondiali di prioni, Adriano Aguzzi, direttore dell’Istituto di neuropatologia all’Università di Zurigo, incontrato a Catania in occasione del decennale simposio della Fondazione Armenise-Harvard, fa il punto sullo stato dell’arte della ricerca. E con uno sguardo al futuro mette in guardia dal pericolo più grosso: abbassare la guardia, ora che l’allarme sembra rientrato. Professor Aguzzi, a 10 anni dai primi casi umani di mucca pazza, a che punto è la ricerca sui prioni? “Oggi sappiamo è che i prioni si replicano negli organi del sistema immunitario. L’infezione non riguarda esclusivamente il cervello, ma può interessare tutti gli organi linfatici, senza dare manifestazioni patologiche. Abbiamo capito che i linfociti B hanno un ruolo determinante, perché secernono la linfotossina, una molecola proteica pro-infiammatoria. E abbiamo individuato le vere fabbriche replicative: le cellule follicolari dendritiche che si trovano negli organi periferici”.E cosa è ancora un mistero?“La cosa più importante: come il prione si replica, quali sono a livello atomico i cambiamenti molecolari che conducono alla replicazione dell’agente infettivo. È un punto completamente oscuro. In realtà, in un certo senso, non sappiamo con esattezza neppure che cosa sia un prione. Non siamo riusciti a purificarlo completamente e a studiarne la struttura”.Come fanno i prioni ad arrivare nel cervello?“Dagli organi linfatici fino cervello e al midollo spinale il prione passa attraverso il sistema nervoso simpatico. Tuttavia, le fibre del sistema simpatico non toccano direttamente le cellule follicolari dendritiche. Qui c’è qualche passaggio che ci sfugge”. L’allarme prioni è andato a braccetto con il rischio Bse nelle carni bovine. Ma di recente l’attenzione dei ricercatori si è spostata sulle pecore. Qual è la situazione?“L’infezione prionica delle pecore, chiamata scrapie, è una malattia abbastanza frequente, a trasmissione orizzontale. Anche se colpisce principalmente il sistema nervoso, si è scoperto che il prione può finire nel muscolo scheletrico. E muscolo vuol dire carne. Inoltre, in un recente studio, il nostro gruppo di ricerca ha individuato prioni nella mammella nelle pecore affette contemporaneamente sia da scrapie sia da una patologia infiammatoria, chiamata mastite. La patologia infiammatoria crea un ambiente che facilita la replicazione del prione nell’organo infiammato e se questo organo produce secreti o escreti il prione finisce nell’ambiente. La mia ipotesi di lavoro è che questo sia il fattore a determinare la trasmissione orizzontale della scrapie”.C’è il rischio di prioni nel latte?“La quantità di prioni trovata nella mammella delle pecore è molto bassa, nettamente inferiore a quella nel cervello. È un dato rassicurante, ma stiamo analizzando il latte per individuare l’eventuale presenza di materiale prionico. Impresa affatto facile, perché il prione è estremamente elusivo. Ma non c’è motivo per allarmarsi perché non ci sono link epidemiologici tra la scarpie nella pecora e Creutzfeld-Jakob nell’uomo. E anche qualora ci fossero prioni nel latte di pecora, potrebbero non essere infettivi per l’uomo”. In Europa, milioni di persone sono state esposte alla Bse bovina e in totale i casi di malattia sono stati poco più di 100. Come mai?“La rarità della malattia indica che un contatto con l’agente infettivo non risulta necessariamente in un’infezione, ed è una buona notizia, e che ci sono fattori che controllano la suscettibilità all’agente infettivo: endogeni ed esogeni. Per il momento abbiamo scoperto il primo dei fattori esogeni: le patologie infiammatorie”.Ora che le farine animali sono state bandite, possiamo ritenerci fuori pericolo mangiando bistecche di carne?“Nel caso dei bovini è stato dimostrato che le farine animali erano le principali responsabili della Bse e della variante umana di Creutzfeld-Jakob. Una volta eliminate, l’incidenza della malattia è calata precipitosamente. Ma bisogna stare all’erta e non abbassare la guardia”. Che intende?“Bisogna evitare a ogni costo, senza mezzi termini, che le farine animali siano reintrodotte. Sarebbe la ricetta per il prossimo disastro. Non è stato semplice vietarle per via di enormi interessi in gioco, e adesso non si può tornare indietro. Mi è già capitato di essere in un comitato di stakeholder in Gran Bretagna dove i rappresentati dell’industria lanciavano la proposta di tornare a utilizzarle, ora che i casi di Bse nei bovini sono scomparsi. A sentir cose del genere, mi si drizzano i capelli in testa”.

Daniela Cipolloni

Daniela Cipolloni è giornalista scientifica freelance. Scrive per il settimanale Oggi ed è redattrice del sito dell'Agenzia Spaziale Italiana. Ha lavorato nella redazione di Galileo e Zadig Roma, collaborando per numerose testate tra cui L'espresso, Le Scienze, Mente & Cervello, Il Messaggero. È stata docente al Master in comunicazione della scienza della Sissa di Trieste. Nel 2009 ha scritto il libro "Compagno Darwin. L’evoluzione è di destra o di sinistra?" (Sironi) insieme a Nicola Nosengo.

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