Il reato che non c’è

“In Italia la tortura è diffusa nelle carceri, nei commissariati, nelle caserme e nei centri di detenzione temporanea per gli immigrati”. È durissimo il j’accuse di Marco Bertotto, presidente della sezione italiana di Amnesty International, nei confronti delle istituzioni italiane. L’associazione che tutela i diritti umani nel mondo, concludendo oggi a Roma la sua campagna contro la tortura, ha richiamato il Parlamento alle sue responsabilità, chiedendo la rapida approvazione dei disegni di legge che introducono nel nostro ordinamento il reato di tortura. In Italia, infatti, la tortura è espressamente vietata solo in tempo di guerra (L. 06/2002): nel codice penale non è previsto alcun reato specifico qualificato come tortura secondo gli standard internazionali. Secondo Amnesty, a preoccupare non è solo il numero di casi di tortura documentati nel nostro paese, ma anche “l’inadeguatezza della risposta delle istituzioni di fronte al fenomeno. Il sistema attuale non funziona: risultati giudiziari scarsi, tempi lunghissimi e imputazioni apparentemente poco gravi, come percosse, lesioni personali e abuso di potere”. Al contrario, la gravità di un reato come la tortura ha bisogno, secondo l’associazione, di una risposta specifica: “in Italia esiste un sinistro e paradossale sillogismo: tante vittime, nessun reato, nessun colpevole, nessuna pena”. Gli ultimi casi nelle caserme di Genova e Napoli lo scorso anno. Introdurre un reato specifico di tortura porterebbe secondo Amnesty a sanzioni più aspre contro i colpevoli ma soprattutto all’affermazione di un messaggio inequivocabile, che la tortura non è in alcun modo tollerata. E l’Italia purtroppo non è un caso isolato: nonostante siano passati quindici anni dall’approvazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, casi di maltrattamenti continuano ad essere registrati in almeno 111 paesi del mondo. (m.ba.)

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