Il teatro dell’infinito

Può il teatro rappresentare l’infinito? Sì, secondo John Barrow e Luca Ronconi, rispettivamente autore e regista di “Infinities”, uno spettacolo che porterà l’idea dell’infinito sul palcoscenico del Piccolo Teatro alla Bovisa di Milano, dall’8 al 28 marzo prossimi. Un’astrazione logico-matematica così distante dal nostro modo di vivere e pensare, ancorato a precise coordinate spazio-temporali, che non può non generare paradossi, ma anche meravigliare e affascinare. Un testo, quindi, che non poteva essere racchiuso in forme sceniche tradizionali, bensì, come ci racconta lo stesso Barrow, matematico e astrofisico di fama mondiale, “in spazi separati, ognuno costruito in base agli spunti offerti dalle scene, introducendo nell’esperienza della visione variazioni e configurazioni simili a quelle rappresentate da Escher. Gli spettatori entreranno in gruppi, fino a occupare tutti gli ambienti dove si svolgono le scene”. Se qualcuno si vorrà soffermare su una singola scena, la vedrà ogni volta diversa, a causa degli spostamenti degli attori, mentre, volendo, si potrebbe ripercorrere tutto al contrario, data la struttura ad anello del teatro.

Cinque sequenze di 15 minuti ciascuna, scritte interamente da lei, professor Barrow. Di cosa parlano?

“La prima illustra il paradosso di visitare un albergo dotato di un numero infinito di stanze: è come se si potesse sempre trovare una stanza, anche se fossero tutte occupate. Poi è rappresentato il paradosso di vivere in un universo di grandezza infinita, dove, quindi, un evento qualunque deve necessariamente accadere un numero infinito di volte, in qualunque parte del mondo, nel medesimo istante. La terza scena affronta, dal punto di vista sociologico e psicologico, il paradosso di vivere eternamente. Il quarto caso parla del padre dell’infinito, Georg Cantor, il matematico tedesco, che, nel diciannovesimo secolo, tentò di introdurne questo concetto nelle scienze matematiche. Tenacemente osteggiato da quei colleghi conservatori, che temevano l’insorgere di innumerevoli contraddizioni logiche, fu colpito da una malattia mentale che lo condusse a una morte precoce. Infine, si parla di un paradossale viaggio nel tempo”.

Perché il concetto di infinito causa necessariamente dei paradossi?

“I paradossi esistono nella nostra mente perché noi siamo portati a pensare che l’infinito sia soltanto un numero molto, molto grande. Ma non è affatto così. Non somiglia ad alcun numero, per quanto enorme possa essere. Tanto per dirne una, esso obbedisce alla sua propria, particolare, legge aritmetica: se proviamo a sottrarre l’infinito dall’infinito, per esempio, il risultato sarà di nuovo l’infinito. Invece, se togliamo i numeri pari da tutti i numeri, rimangono soltanto quelli dispari”.

L’ultima scena tratta dei viaggi nel tempo. È solo fantascienza?

“Le leggi della natura, così come noi le conosciamo, sembrano permettere viaggi nel tempo, ma soltanto a determinate condizioni, assai estreme, che non è possibile creare artificialmente. Comunque, non è escluso che tali condizioni possano concretizzarsi in qualsiasi luogo dell’universo, a causa di eventi violenti”.

Nella sua esperienza, che tipo di relazione intercorre tra la scienza e il teatro?

“Si tratta, a dir la verità, di un rapporto inesplorato. Un’esperienza che offre l’opportunità di “umanizzare” gli scienziati e di introdurre gradualmente idee scientifiche. E’ importante infatti che si parli di scienza utilizzando tutti i mezzi di comunicazione a disposizione”.

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