Investimenti privati a rischio

    Ultime rilevazioni Istat sugli investimenti in ricerca e sviluppo in Italia: nel 2006, la spesa di imprese, istituzioni pubbliche e private e non profit è aumentata del 7,9 per cento rispetto all’anno precedente, per un totale di 16.835 milioni di euro. E il contributo maggiore proviene dalle piccole e medie imprese, con una crescita del 4,5 per cento. Bene. Forse.

    La lettura degli stessi ricercatori dell’Istat è molto cauta per diversi motivi. Primo tra tutti il fatto che l’aumento potrebbe essere apparente. È possibile infatti che le industrie stiano realmente investendo di più in R&S intra muros (ovvero svolta dalle industrie e dagli enti al proprio interno, con il proprio personale e le proprie strutture). Ma non si può escludere che abbiano semplicemente fatto rientrare sotto la voce “ricerca” lo stesso personale e le stesse risorse che fino al 2005 erano inquadrati con un altro nome, senza che questo abbia comportato un reale cambiamento nella distribuzione del lavoro interno. Motivo: la possibilità, introdotta dalla Finanziaria 2005, di detrarre dall’Irap (Imposta regionale sulle attività produttive) parte della spesa sostenuta per la ricerca.

    “Le aziende che fanno davvero attività di ricerca investivano anche prima dell’arrivo dell’incentivo fiscale”, spiega Giulio Perani, autore dello studio. “E poi molte imprese hanno indicato come spesa per la ricerca solo quella del personale, con un investimento scarso o nullo nelle infrastrutture. Zero investimenti anche nei materiali: questo ci fa supporre che si tratti di una ricerca povera”.

    Altra nota stonata: la spesa sostenuta per la ricerca appare sottodimensionata rispetta alla quantità di persone ora classificate sotto la voce R&S. Che quindi sarebbero sottopagate. “Lo sgravio dell’Irap, che dipende dal numero di addetti alla ricerca, non richiede che il personale sia dipendente né che il lavoro sia svolto da professionisti qualificati”, spiega ancora Perani: “Questo significa una retribuzione inferiore di questo personale rispetto a chi fa ricerca nel settore pubblico o a chi ha un ruolo di tecnico esperto all’interno di una industria. Si tratta in molti casi di personale esterno con un contratto a progetto, che ha un costo minore per l’azienda”.

    Non va infine dimenticato che la crescita registrata dall’Istat è stata comunque minima. “Un aumento del 7,9 per cento nominale (e del 6,1 per cento reale, ndr.) non modifica il quadro complessivo dello sforzo della ricerca in Italia”, commenta il ricercatore. L’incidenza che questi nuovi investimenti hanno rispetto agli obiettivi di Lisbona (per cui ricerca e sviluppo devono essere sostenuti con finanziamenti pari al 3 per cento del Prodotto interno lordo, tra contributi pubblici e privati) è minima. Si è infatti passati dall’1,09 per cento del 2005 all’1,14 del 2006: un aumento di appena 0,05 punti (nel 2003 eravamo all’1,15%). “Sostanzialmente”, conclude Perani, “stiamo girando intorno all’1 per cento”.

    La prova del valore dell’incentivo fiscale sull’Irap potrebbe venire dalla comparazione di questi dati con quelli dei prossimi, in cui questa misura sarà notevolmente ridimensionata. Con l’entrata in vigore il 30 novembre scorso del decreto anti-crisi (185/2008, articolo 29, comma 2), infatti, l’incentivo potrebbe essere abolito dopo il 2009. Né è garantito per il 2008, visto che il decreto ha valore retroattivo. Usufruire dei bonus, infatti, improvvisamente non è più automatico. Affinché le richieste non possano superare la cifra stanziata (375 milioni di euro), le aziende dovranno prenotare un “diritto alla fruizione” del bonus, tramite una richiesta telematica all’Agenzia delle entrate entro trenta giorni dall’attivazione del servizio (pena decadenza del diritto). Il credito sarà concesso sulla base all’arrivo cronologico delle domande fino a esaurimento scorte. Per chi resta fuori si slitta agli anni successivi.

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