Non è più un mistero l’epidemia che devastò Atene nel periodo della Grecia classica. È bastata una semplice indagine del Dna batterico di cui erano contaminati i resti di polpa dentaria appartenenti a scheletri riesumati nell’antico cimitero di Kerameikos. Sfruttando la reazione a catena della polimerasi, con la quale si è potuto moltiplicare il materiale genetico disponibile. Si è così appreso che si trattava di Salmonella enterica serovar Typhi, ossia il patogeno della febbre tifoide. Lo studio di Manolis Papagrigorakis dell’Università di Atene è appena stato pubblicato sulla versione online dell’International Journal of Infectious Diseases (IJID). La cosiddetta peste di Atene fu una della cause della città e della cultura greca. L’epidemia che fece la sua prima comparsa in Etiopia, percorse l’Egitto e le coste libiche per approdare infine in Grecia fra il 430 e il 426 a.C.,uccidendo un terzo degli ateniesi, tra i quali anche il grande Pericle. Fino a oggi si era a conoscenza della febbre soltanto attraverso i racconti di Tucidide, che si ammalò, ma riuscì a sopravvivere, rendendo testimonianza dell’epidemia, senza però consentire un’identificazione scientifica della malattia. Tra le tante ipotesi formulate nel corso dei secoli ci sono anche la peste bubbonica, il vaiolo, il carbonchio e perfino di una forma particolarmente virulenta di morbillo. (a.c.)
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