Categorie: Spazio

La firma della materia oscura

Un’anomalia nel rapporto tra il numero di positroni e quello di elettroni presenti nello spazio sarebbe l’indizio dell’esistenza della materia oscura. A rivelarla sono stati i dati elaborati da Pamela (Payload for Antimatter Matter Exploration and Light – nuclei  Astrophysics), un esperimento internazionale coordinato dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare il cui strumento di rilevazione si trova a bordo di un satellite russo, ora riportati su Nature.

L’abbondanza di positroni può essere spiegata con l’annichilazione delle particelle di materia oscura in seguito al contatto con l’antimateria, oppure potrebbe essere il risultato dell’attività di pulsar o altre sorgenti astrofisiche. “Questi dati, insieme a quelli pubblicati sul rapporto antiprotoni su protoni in febbraio su ‘Physical Review Letters’, rappresentano uno dei più importanti contributi di questi ultimi anni alla conoscenza del mistero della materia oscura, permettendo di restringere in modo molto significativo il campo delle ipotesi sulla sua natura’’, spiega Piergiorgio Picozza dell’Infn e Università di Roma Tor Vergata, coordinatore dell’esperimento Pamela.

Oltre ai nuclei di antimateria e ai possibili segnali di materia oscura, il team internazionale di fisici sta cercando altri tipi di materia esotica, ma anche indicazioni sulle sorgenti dei raggi cosmici e sulle leggi che regolano i loro meccanismi di accelerazione e propagazione nella galassia, oltre a precise informazioni sull’evoluzione dell’attività del Sole. La caccia si è aperta il 15 giugno 2006, quando da Baikonur, in Kazakistan, è partito il satellite russo che orbita attorno alla Terra a un’altezza tra 350 e 600 chilometri; è al suo interno che si trova lo strumento formato da un magnete e da molteplici rivelatori di particelle.

Pamela è frutto di una collaborazione tra l’Infn,Agenzia Spaziale Russa e istituti di ricerca russi, con la partecipazione dell’Agenzia Spaziale Italiana e il contributo delle agenzie spaziali e università tedesche e svedesi. (l.g.)

Riferimento: doi:10.1038/nature07942

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