Categorie: Salute

La proteina “ponte” tra Hpv e cancro

È una proteina chiamata beta-catenina ad aumentare il rischio di sviluppare il tumore al collo dell’utero nelle donne colpite da papillomavirus umano. Lo hanno scoperto i ricercatori del Lombardi Comprehensive Cancer Center, negli Usa, studiando il decorso della malattia in topi infetti. I risultati della ricerca, resi pubblici durante il meeting annuale dell’American Association for Cancer Research, in Florida, potrebbero aiutare i medici a diagnosticare questo tipo di tumore e a sviluppare terapie più efficaci.

La famiglia dei papilloma virus umani (Hpv) è assai numerosa. Se ne conoscono oltre cento tipi, alcuni responsabili di malattie non gravi come le verruche cutanee, altri anticamera di patologie più pericolose. Di tutte le donne che contraggono infezione da Hpv a rischio oncogenico, però, solo alcune sviluppano effettivamente il tumore. 

Partendo da questa osservazione, i ricercatori statunitensi hanno analizzato i topi contagiati, con lo scopo di identificare l’interruttore molecolare responsabile della degenerazione cancerogena dell’infezione. Hanno così scoperto che quando gli animali venivano geneticamente modificati per esprimere nelle cellule del collo dell’utero elevate quantità dell’oncogene beta-catenina (coinvolto nei processi cellulari che portano al cancro), allora sviluppavano tumori estesi e aggressivi. È quindi probabile che l’omologa proteina umana sia l’interruttore che decide se un’infezione da papillomavirus degenererà in tumore o meno. 

La scoperta ha importanti implicazioni in campo diagnostico quanto in quello terapeutico. In teoria, infatti, quando si esegue un Pap test (l’esame citologico che indaga le alterazioni nelle cellule uterine) si potrebbe mettere a punto una tecnica di screening per individuare sia il virus sia la presenza di beta-catenina. Se dagli esami emergessero livelli di oncogene elevati, significherebbe che ci sono maggiori probabilità di contrarre il tumore. D’altra parte, in campo terapeutico già esistono farmaci in grado di bloccare l’azione di oncogeni come le beta-catenine. Sono usati per trattare molti tumori e potrebbero essere impiegati anche nella lotta a quello del collo dell’utero.

Martina Saporiti

Laureata in biologia con una tesi sui primati, oggi scrive di scienza e cura uffici stampa. Ha lavorato come free lance per diverse testate - tra cui Le scienze, Il Messaggero, La Stampa - e si occupa di comunicazione collaborando con società ed enti pubblici come l’Accademia dei Lincei.

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