Notizie dal 2021. A Stoccolma, capitale della Grande regione Baltica, si svolge la prima conferenza mondiale dei netizen, come ormai vengono chiamati i cittadini della Rete. Un concetto che ha preso forma all’inizio degli anni Novanta del millennio scorso, quando la nascita di Internet ha rivoluzionato il modo di comunicare tramite l’elettronica. Aggirati i controlli centralizzati che da sempre avevano soffocato la creatività, la Rete è progressivamente divenuta il secondo universo – dopo lo spazio – ad organizzazione autonoma. L’esercito dei seguaci della nuova forma di comunicazione si è andato a ingrossare: oggi conta più di un miliardo di individui. Comincia così, con una visione del Terzo millennio, Svolte epocali. Il business per un futuro migliore (Baldini & Castoldi) di Gunter Pauli, belga “fiammingo” trapiantato in Giappone, dove ha fondato e dirige la “Zero Emissions Research Iniziative” per l’Università delle Nazioni Unite. Lo “Zeri” studia i processi per soddisfare le necessità umane – acqua, cibo, energia, lavoro, casa e altro – in modo sostenibile. Il suo approccio non è “come riciclare i rifiuti” ma bensì “come eliminarli” cambiando tutto il sistema di produzione.
Ma torniamo al futuro. La rivoluzione di Internet ha sconvolto la vita della Terra: l’innovazione è il criterio generale; la burocrazia è sconfitta, perché prevale l’autorganizzazione; il modo di fare politica non è più lo stesso; i grandi Stati nazionali sono dei simulacri, mentre il potere è nelle mani di organizzazioni sovranazionali, come l’Europa, e delle comunità locali; l’inglese è la lingua comune, ma sulla Rete chiunque può collegarsi con chi conosce il proprio idioma originale e, poi, la tridimensionalità ha reso meno importante la parola scritta e parlata; prevale l’iperdisciplinarietà, grazie alla quale ogni problema viene affrontato da 40 o 50 tecnologie e scienze diverse per giungere a una soluzione comune; l’industria è il fulcro del cambiamento, ma non è la stessa del passato: oggi imita la natura, non crea inquinamento, ha accettato il criterio della sostenibilità dello sviluppo; i rischi per l’ambiente sono molto minori che in passato; il Pianeta gode di un eccellente aspetto.
Eccessivo ottimismo? Utopia? Nella sede romana di Legambiente, dove è venuto a presentare il libro, Pauli respinge queste critiche: «Io credo che il nuovo mondo aderirà a principi completamente nuovi. Noi ci disfarremo di buona parte dei concetti errati che abbiamo oggi. Per esempio quello che con il business “verde” non si fanno soldi: fra venticinque anni se non sei verde, sei fuori, diventerà una condicio sine qua non per far parte del mercato. Elimineremo l’idea che se si vuole avere un alto livello di produttività bisogna perdere posti di lavoro. Credo che vederemo crescere il volume totale dell’economia di un fattore 10 ma con soltanto la metà del materiale che consumiamo oggi. Avremo una nuova rivoluzione “verde”: non ci possiamo aspettare che la Terra produca di più, però possiamo fare molto di più con ciò che produce. Infine, sparirà il concetto di potere centralizzato. Non sto sostenendo l’anarchia, ma cerco di identificare il più efficiente sistema di organizzazione della vita e penso che questo sia il sistema immunitario: riconoscere che ogni singola cellula è intelligente, quindi non solo il cervello, non solo il “presidente”. E grazie a Internet questo sarà possibile».
Un mondo senza contraddizioni? No. Lo stesso Pauli sottolinea il grande gap che si creerà tra le generazioni (almeno nella fase di transizione), tra chi avrà accesso critico alla Rete (i veri “netizen”) e chi si limiterà a giocare con Sega e Nintendo, tra i soddisfatti e le masse di diseredati che – almeno nel 2021 – continueranno a popolare la Terra. «Ma proprio nel Sud del mondo – aggiunge – ci sono alcuni dei principali segnali di cambiamento». Noi siamo abituati ad associare la Colombia alla droga e alla mafia, eppure è lì che si sta sviluppando un’edilizia sociale a base solare, per evitare che i poveri debbano pagare la bolletta dell’energia. La prima birreria che sta applicando il metodo detto “a zero emissioni” è in Namibia. In Europa si cerca di riclare la carta, in Indonesia si studia come utilizzare il cento per cento di un albero. «Il Giappone l’ha capito. Il ministero del Commercio e dell’industria, l’Agenzia ambientale e il ministero della Scienza e della tecnologia (il famosissimo “Miti”, ndr.) hanno tutti avviato una politica di “emissioni zero”. Ci sono circa trecento industrie – nomi come Honda e Canon – che hanno progetti di sviluppo in tal senso. Se l’Europa non si metterà al passo si troverà presto nelle posizioni di retroguardia».