La sfida delle donne iraniane

Nel nuovo e provvisorio governo dell’Afganistan ci dovrebbe essere almeno una donna. Così è stato promesso a Berlino, alla conferenza che ha visto riunite tutte le etnie che popolano lo stato asiatico. Messi sotto pressione dall’opinione pubblica occidentale, gli afgani hanno dovuto concedere alle donne, a lungo sottomesse e maltrattate, almeno una poltrona. Ma ci sono altri stati islamici che hanno iniziato a garantire maggiori libertà e diritti alle donne. Primo fra tutti l’Iran, dove alla fine degli anni Ottanta fu lanciato un programma per favorire l’istruzione anche della popolazione femminile. Fu allora che le ragazze cominciarono a frequentare l’università. Seppur in classi rigidamente distinte da quelle maschili. Così alla fine degli anni Novanta più della metà delle matricole erano donne, mentre solo vent’anni prima l’analfabetismo femminile raggiungeva il 69 per cento. L’istruzione ha dato loro maggiore forza nella società, anche per contestare le regole rigide di comportamento imposte dalla religione islamica. Abbiamo chiesto a Elham Gheytanchi, del dipartimento di Sociologia dell’Università della California a Los Angeles e studiosa della società iraniana, di commentare l’attuale scenario politico.

Quanto è cambiato lo status sociale delle donne iraniane negli ultimi anni?

“La maggioranza delle donne iraniane ha votato per l’elezione di Mohammad Khatami nel maggio del 1997. Dopo quella data le donne hanno potuto godere di maggiori libertà per le strade o sul posto di lavoro poiché le leggi islamiche sono state adottate con più elasticità. Nel primo parlamento dopo l’elezione di Khatami sono state elette 14 donne, mentre in quello attuale il loro numero è sceso a sei. Infatti, se è vero che le questioni femminili sono dibattute molto più di prima, le donne non hanno acquisito tutti quei diritti che avrebbero sperato all’inizio. Anche perché la popolarità di Khatami sta diminuendo”.

Il presidente Khatami è riuscito a introdurre nuove leggi a tutela delle donne?

“No, in realtà si è trattato solamente di un’interpretazione meno severa del codice islamico. Per esempio permettendo alle registe cinematografiche di svolgere il loro lavoro, creando così dibattito nel paese a proposito dei diritti delle donne. Ma il processo di rinnovamento si è scontrato con la parte più conservativa del regime, che ha sempre tentato di minare gli sforzi democratici di Khatami”.

Secondo lei c’è una coscienza di genere in Iran?

“Penso che si stia formando nell’intera società. Un numero sempre maggiore di film sta portando alla ribalta la questione femminile, pellicole in cui la prospettiva delle donne è protagonista come in “Hidden Half” di Tahmineh Milani. Inoltre il 57,2 per cento delle matricole universitarie è donna, i consigli municipali stanno funzionando per la prima volta dopo la rivoluzione, e infine il numero di scrittrici è il maggiore mai registrato”.

Seppur senza leggi specifiche le donne iraniane sono riuscite a far valere di più i loro diritti?

“Si, grazie all’istruzione. Per esempio sfruttando l’ importanza riconosciuta alla maternità dalla società iraniana per guadagnare maggiori diritti. Utilizzando lo status di madri per ottenere la custodia dei figli davanti alle corti di giustizia dopo il divorzio, o anche per ottenere il divorzio basandosi sulla tesi che in quanto madri, quindi degne di rispetto, in casa non ottenevano il dovuto riguardo”.

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