Categorie: Spazio

L’aereo russo ora spia il buco dell’ozono

La guerra fredda è ormai un ricordo del passato. E con la sua fine buona parte delle sofisticatissime (e costosissime) tecnologie belliche degli opposti schieramenti sono finite in soffitta: missili strategici, sommergibili nucleari, bombardieri, ordigni che arrugginiscono pericolosamente in qualche sperduto deposito. Soprattutto all’Est, dove la crisi economica non perdona. A meno che non si trovi il modo di riconvertirli. Così può succedere che un ex aereo-spia sovietico venga adattato a laboratorio di alta quota. Per studiare i processi chimici che provocano la distruzione dell’ozono nella stratosfera, a oltre 20 chilometri d’altezza, dove nessun altro aereo può arrivare. Il velivolo è stato presentato mercoledì scorso all’aeroporto militare di Pratica di Mare, vicino Roma, dove sta ultimando i voli di prova prima della partenza, il 19 dicembre prossimo, per la prima campagna scientifica nelle regioni artiche . Un vero gioiello dell’aeronautica d’oltre cortina, questo M-55: capace di sfiorare la quota record di 22 chilometri, volando per quasi 6 ore a 750 chilometri orari con qualsiasi condizione meteorologica. Il velivolo non ha avuto il tempo di dimostrare le sue doti di “spia” (ha compiuto il primo volo a pochi mesi dalla dissoluzione dell’Urss ), ma le sue qualità, unite alla capacità di trasportare quasi 1500 chili di strumenti scientifici, lo rendono una piattaforma unica e insostituibile per gli esperimenti nella stratosfera. “D’altra parte”, ricorda Nicola Cabibbo, presidente dell’Enea, “nessuna struttura di ricerca civile potrebbe mai permettersi lo sviluppo di un aereo con queste caratteristiche”. E così, dopo un inizio travagliato segnato da qualche scetticismo, è nato e cresciuto il progetto Ape (Airborne Polar Experiment). E il bellicoso M-55 è diventato il più pacifico Geophysica. Il programma, diretto da Leopoldo Stefanutti del Cnr, è il frutto di una vasta collaborazione internazionale che vede Italia e Russia in prima linea assieme a Inghilterra, Svizzera, Germania, Francia, Norvegia, Svezia e Finlandia. Finanziata con circa 18 miliardi, provenienti dal Programma nazionale per le ricerche in Antartide, dall’Agenzia spaziale italiana, dall’Unione europea, dalla Russia e dalla European Science Foundation, l’impresa coinvolge quasi 30 istituti scientifici di tutto il mondo. Ha richiesto un notevole sforzo di coordinazione e soprattutto di integrazione e adattamento alle condizioni di volo della strumentazione a bordo di Geophysica, compito affidato ai tecnici e agli scienziati dell’Enea. Gli strumenti permetteranno sia di analizzare i campioni d’aria raccolti al passaggio dell’aereo, sia di studiare l’atmosfera circostante con spettrometri e radar a laser (i cosiddetti lidar). La massa di dati raccolta aiuterà gli scienziati a studiare la composizione e il comportamento delle nubi polari stratosferiche (Psc). Proprio le Psc svolgono un ruolo fondamentale nella distruzione del sottile strato di ozono che blocca le pericolose radiazioni ultraviolette del Sole. Infatti le nubi stratosferiche favoriscono la scissione dei cloro-fluorocarburi che liberano il cloro, il gas killer dell’ozono. Ma fino a oggi non sono stati raccolti dati sufficienti per studiare in dettaglio le reazioni che avvengono a quelle quote. “Fino a un paio di anni fa il buco dell’ozono si presentava solo in Antartide”, spiega Stefanutti, “ma ora comincia a comparire anche nell’emisfero nord, dove potrebbe interessare anche zone molto più popolate. Per questo la nostra prima campagna di rilevamento si svolgerà nelle regioni artiche”. Partendo dalla sua base di Rovaniemi, in Finlandia, Geophysica effettuerà circa 30 ore di volo sulla catena delle Alpi scandinave e sugli Urali per verificare se, come sembra, esiste una stretta correlazione tra le catene montuose e la presenza delle Psc. La missione si concluderà a metà gennaio del 1997 e servirà anche da ulteriore banco di prova prima della campagna in Antartide in programma per il 1999.

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