Laurea in fisica, lavoro sicuro

Quanti studenti vorrebbero lavorare il giorno successivo alla laurea? Indubbiamente molti. Ebbene, per i laureandi in fisica è più o meno una certezza. Lo prova uno studio, condotto da Carlo Cosmelli, docente del dipartimento di fisica presso la facoltà d’ingegneria dell’università “La Sapienza” di Roma, su un campione di 200 ex-studenti del corso di laurea in Fisica dell’ateneo capitolino, laureati nell’ambito del vecchio ordinamento, fra il 1999 e il 2001. L’85 per cento di loro sta lavorando, e la metà aveva cominciato già tre mesi dopo la laurea. Dunque, studi adatti – secondo il luogo comune – a persone un po’ geniali e un po’ con la testa fra le nuvole, riscuotono più successo di quelli consigliati a chi ha i piedi per terra, come ingegneria o informatica. “Questo dato è sicuramente condizionato dal fatto che si tratta di un corso di laurea “piccolo”, seguito da persone e da docenti motivati, e che fornisce una preparazione scientifica ad ampio spettro”, afferma Cosmelli. “I fisici sul mercato sono pochi, rispetto, per esempio, ai laureati in ingegneria, quindi, anche se la richiesta è numericamente minore, può essere più semplice trovare lavoro. Ma c’è di più: i nostri studenti sono allenati a risolvere problemi complicati. Non imparano semplicemente delle tecniche e dei modelli: li applicano alla realtà. Per questo talvolta sono privilegiati dai datori di lavoro”. A questo proposito, uno dei risultati più sorprendenti dello studio è che una parte dei più “bravi” (laureati con 110 e lode), confluisce nel settore finanziario. “In questo campo”, prosegue Cosmelli, “accanto ai metodi classici sviluppati dagli economisti, prendono sempre più piede modelli matematici estremamente complessi. Ovvero gli strumenti sviluppati e utilizzati quotidianamente dai fisici”. Questo, in realtà, è un settore riservato a un’élite di laureati. Ma anche per la maggioranza l’offerta è ricca e variegata. I campi d’impiego più comuni sono, nell’ordine: l’informatica, l’elettronica, la telematica, la scuola e lo spazio. In genere non conta la branca specifica nella quale ci si è specializzati. “Purtroppo in Italia sono poche le industrie che fanno ricerca”, dice Cosmelli. “E quelle poche assorbono, spesso, ma non sempre, fisici elettronici. Per gli altri non conta se si è teorici o sperimentali, esperti in astrofisica o in fisica delle particelle: quel che viene apprezzato è la forma mentis”.Dunque, l’orizzonte dello studente è roseo. O meglio lo era nel 2001, l’anno indagato nello studio. Il professore infatti puntualizza che purtroppo “oggi la situazione economica italiana è tale che molte industrie ad alta tecnologia hanno per il momento interrotto le assunzioni. In ogni caso il cammino che conduce a quell’orizzonte è tutto in salita”, aggiunge il fisico. Soprattutto per via del tempo necessario per concludere il corso di laurea – un problema tipico dell’università italiana. Il campione analizzato ha compiuto gli studi in nove anni, circa il doppio del tempo previsto in teoria. “Il problema è che gli studenti arrivano all’università senza un metodo di studio ben formato. In genere hanno le competenze e i “saperi minimi” necessari per comprendere i corsi, ma fanno fatica ad applicarsi a uno studio intensivo, come richiesto in qualunque corso di laurea. Molti studenti, per esempio, non capiscono l’importanza di seguire regolarmente le lezioni e cominciano a frequentare a metà anno: questo è un modo sicuro per restare indietro”, aggiunge Cosmelli. “Con il nuovo ordinamento dei corsi di laurea”, prosegue il fisico, “il problema è in via di risoluzione”. Da una parte i test frequenti che precedono l’esame incoraggiano gli studenti a stare al passo con i corsi, dall’altro molti studenti si fermeranno dopo aver ottenuto il primo livello di laurea (quello triennale) presentandosi al mondo del lavoro molto prima. La tendenza del mercato, infatti, è quella di assumere più laureati a specializzazione bassa (la cui formazione può essere completata attraverso un master specialistico) a fronte di un numero ridotto di laureati ad alta specializzazione. “Vorrei dare un consiglio alle matricole”, dice Cosmelli. “Dal nostro studio emerge un dato: quelli che si laureano con i voti più alti , in genere sono anche quelli che si laureano prima. Basandosi su questa statistica, non è molto ragionevole sperare di ottenere una media alta ripetendo gli esami più volte,o aspettando di dare un esame fin quando non ci si sente pronti. Meglio uscire dall’università con un voto leggermente più basso, ma con qualche anno di meno”. Un discorso a parte merita la ricerca. Nel primo anno dopo la tesi è il settore che assorbe la maggior parte dei laureati. Che proseguono, grazie a contratti e a borse di studio, il lavoro cominciato come studenti. Così, queste forme d’impiego temporaneo fanno da ponte fra gli studi e la prima assunzione vera e propria. “Il numero di persone che resta stabilmente nell’ambito della ricerca, invece, è assai ristretto”, conclude Cosmelli. “Purtroppo i nostri gruppi si possono permettere di assorbire pochissimi giovani l’anno. Le loro retribuzioni, come d’altro canto molti dei finanziamenti di cui disponiamo, vengono in gran parte da progetti europei”. Ed è su scala europea che un giovane ricercatore deve pensare di muoversi, dato che gli investimenti in università e ricerca sono in forte diminuzione. All’estero quello della ricerca è un mercato aperto sia nell’industria che nell’università, e i fisici italiani hanno un valore aggiunto inestimabile: la qualità della loro formazione.

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