Ci sono tanti modi di raccontare un anno. I motori di ricerca lo fanno attraverso le parole chiave più popolari, come hanno già reso noto Yahoo! e Google, e le riviste scientifiche stilano classifiche sullericerche e i loro protagonisti, identificando quelli che più di altri hanno contribuito a caratterizzare il 2012. Come ha fatto Nature, che sulla copertina di oggi presenta la top ten delle personalità legate al mondo della scienza – non necessariamente ricercatori – che più di tutte hanno rappresentato il 2012 (qui invece quelle del 2011).
Come forse era logico attendersi nell’anno della tanto agognata scoperta del bosone di Higgs – resa nota lo scorso luglio con l’annuncio di una particella che le somiglia moltissimo intorno a valori di massa attesi per l’Higgs – Nature onora la particella di dio inserendo nella propria classifica Rolf-Dieter Heuer, il direttore del Cern di Ginevra. Definito dalla rivista come il “diplomatico di Higgs”, quello che ha mediato tra le titubanze dei fisici a capo degli esperimenti di Atlas e Cms, Fabiola Gianotti e Joe Incandela, cauti malgrado le evidenze scientifiche, e il pubblico. Quello che ha deciso, anche se con parsimonia, di usare la parola scoperta per riferirsi ai risultati degli esperimenti dell’Lhc, spingendosi a dire, in occasione della seguitissima conferenza del 4 luglio: “Come non esperto adesso direi che lo abbiamo [il bosone, nda] . Voi che ne dite? ”.
C’è spazio anche per altri eventi che hanno caratterizzato il 2012 nella classifica di Nature. Cynthia Rosenzweig, secondo la rivista, è la persona che più di altre rappresenta il disastro dell’ uragano Sandy che si è abbattuto tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre nell’America centro-settentrionale. Scelta perché, malgrado la forza con cui l’uragano si è abbattuto su New York, Rosenzweig aveva previsto gli effetti devastanti di eventi come questo anni prima che avvenissero, partecipando agli studi di valutazione dell’ Us Global change research program. Analisi del genere hanno portato allo sviluppo di strategie per contrastare le minacce derivanti dal cambiamento climatico, che ora Rosenzweig è pronta a passare al vaglio, per capire se siano servite a sminuire l’effetto, comunque devastante, di Sandy.
Adam Steltzner invece è l’uomo scelto come portabandiera del successo di Curiosity, l’ingegnere che ha guidato il rover su Marte, coordinando il gruppo coinvolto nelle fasi di entrata, discesa e atterraggiosul Pianeta rosso. Mentre Cédric Blanpain della Université libre de Bruxelles, è lo scienziato che ha alimentato il dibattito sull’esistenza delle staminali cancerose, quelle che sostengono la proliferazione tumorale, anche grazie a tecniche in grado di seguire lo sviluppo delle cellule direttamente al microscopio, così da marcarne il lineage.
Elisabeth Iorns è stata inclusa nella top ten della rivista per la creazione di un progetto del tutto particolare, che ha preso il via lo scorso agosto. Si chiama Reproducibility Initiative ed è una sorta di certificato che attesta la bontà di una ricerca scientifica, intesa come affidabilità sotto il profilo della riproducibilità. Per averlo basta sottoporre il proprio paper e attendere i risultati dello stesso studio riprodotto da terze parti, disinteressate. Se i risultati sono gli stessi, allora il paper riceve il certificato e viene pubblicato su PLoS One, con link all’originale. Per Iorns la Reproducibility Initiative è un modo per premiare ed evidenziare la ricerca solida, di qualità.
Il 2012 però ha visto anche l’affermarsi di giganti del sequenziamento genomico, come il Beijing Genomics Institute (Bgi), il più grande e ambizioso centro del genere al mondo, guidato dal trentaquattrenne Jun Wang. La Bgi, un colosso che vanta oltre 10mila collaboratori tra università, industrie farmaceutiche e aziende agricole, è impegnata in progetti come Genome 10k (per svelare il genoma di 10mila vertebrati) e i5k (per analizzare il materiale genomico di 5mila insetti e altri artropodi). La Bgi inoltre sta anche mettendo a punto test di analisi genetica prenatale a partire dal sangue materno.
Nature non dimentica poi Jo Handelsman, la ricercatrice di Yale che quest’anno, con uno studio pubblicato su Pnas ha stabilito in modo inequivocabile che il pregiudizio di genere esiste, almeno a livello accademico. L’esperienza lo ha dimostrato: quando docenti, maschi e femmine che siano, sono chiamati a valutare dei curriculum vitae, in genere considerano meno preparate e offrono salari più bassi alle donne rispetto agli uomini.
Timothy Gowers è invece il rivoluzionario inserito nella top ten della rivista quest’anno. Gowers infatti, matematico all’ Università di Cambridge e medaglia Fields 1998, è diventato famoso perché lo scorso gennaio ha dato pubblicamente il via, con un post sul proprio blog, al boicottaggio di Elsevier, editore di molte pubblicazioni scientifiche, che ha generato una petizione pubblica, sottoscritta da tredicimila persone. La motivazione? Sono troppo care, tanto che le università non possono permettersi di comprarne l’accesso agli articoli. Un evento che segna il passo anche verso l’apertura e il sostegno a sistemi di open access anche nella ricerca scientifica.
Di scienza aperta parla anche il caso di Ron Fouchier dell’ Erasmus Medical Centre di Rotterdam, che la rivista ricorda come uno dei protagonisti del 2012, perché legato alla polemica sulla pubblicazione o meno dei risultati sul pericoloso supervirus. Fouchier, infatti, era arrivato agli onori della cronaca per aver indotto delle mutazioni nel virus dell’influenza aviaria H5N1, così da renderlo capace di trasmettersi per via aerea anche tra i mammiferi (i furetti). I dati degli esperimenti vennero ritenuti troppo sensibili per essere pubblicati, perché vi si intravedeva il rischio di un uso improprio (per esempio a scopi terroristici). Alla fine i risultati però vennero resi noti, quelli di Foichier e anche quelli di studi simili condotti da Yoshihiro Kawaoka della University of Winsconsin-Madison.
Anche l’Italia trova spazio nella top ten di Nature, ma non per la scienza propriamente detta. A finire sulla pagine della rivista è il processo dell’Aquila, con la sentenza dello scorso ottobre, in cui gli esperti della Commissione Grandi Rischi sono stati condannati a sei anni per aver dato “ informazioni inesatte, incomplete e contraddittorie” sul possibile rischio di nuove scosse dopo lo sciame dei giorni che precedettero il 6 aprile 2009. A rappresentarlo, sulle pagine di Nature, è Bernardo De Bernardinis, allora capo del settore tecnico della Protezione Civile e presente a ogni udienza del processo, che ha sempre sostenuto di aver solo riportato quanto riferito dai sismologi e di non averne modificato il contenuto. Di essersi insomma fidato della scienza, come scrive Nature, anche se a essere condannata fu più la comunicazione del rischio.
Via: Wired.it
Credits immagine: Nature