L’eruzione di gennaio dell’Hunga-Tonga è la più violenta mai registrata

I detriti hanno spazzato via fondale in un raggio di oltre 80 chilometri e raggiunto i 40 chilometri d’altezza, propagando onde tsunami in tutto il mondo

Crediti: Tonga Geological Services/ZUMA Press

Lo scorso 14 gennaio, il vulcano sottomarino Hunga-Tonga Hunga-Ha’apai è stato responsabile della più grande esplosione atmosferica registrata sulla Terra in oltre 100 anni, cioè da quando gli scienziati hanno cominciato a registrare eventi simili con la strumentazione moderna. L’Istituto nazionale neozelandese per la ricerca sull’acqua e l’atmosfera (Niwa) ha condotto un’indagine completa sull’accaduto, e i numeri sono impressionanti: il fondale marino è stato spazzato via fino a una distanza di almeno 80 km, spostando l’equivalente di 2.6 milioni di piscine olimpioniche di materiale (dieci chilometri cubi). Cenere e vapore hanno raggiunto i 40 chilometri di altezza, entrando nella mesosfera e rimanendo in circolazione per mesi. 


Il pennacchio di Hunga Tonga ha raggiunto la mesosfera


Detriti e deserto

Dove prima c’era fondale marino, ora c’è deserto. Si estende per almeno 80 chilometri intorno al vulcano, nell’arcipelago Tonga del Pacifico, ma probabilmente prosegue oltre visto che questo è solo il raggio limite a cui si sono spinte le indagini. Due terzi del materiale espulso proveniva dalla caldera, l’apertura vera e propria del vulcano. Il terzo rimanente invece è stato eroso e spazzato via dalla ricaduta del materiale espulso sulla sommità e sulle pendici del vulcano sottomarino. Una parte dei detriti, poi, quella che ha raggiunto l’atmosfera, manca ancora all’appello secondo quanto riportato nello studio. Nonostante l’enorme spostamento di materiale, comunque, il fianco del vulcano è rimasto sorprendentemente intatto, mentre la caldera ora è più profonda di 700 metri rispetto a prima dell’eruzione.

Il ruolo dell’acqua

Gli scienziati del Niwa hanno raccolto 150 carote di sedimento proveniente dai flussi piroclastici dell’eruzione, cioè correnti di lava densa, cenere vulcanica e gas che possono raggiungere temperature di mille gradi e velocità di 700 km/h. Dopo l’eruzione, questi si sono estesi per oltre 80 km, hanno soffocato interi ecosistemi e causato la rottura dei cavi di comunicazione nazionali e internazionali, che ora sono sepolti sotto uno strato di 30 metri di materiale eruttivo.

Secondo gli scienziati, sarebbe l’interazione con l’acqua ad aver reso questo evento così esagerato. Quando viene riscaldata l’acqua può espandersi fino ad aumentare di circa mille volte il suo volume, e quando il magma caldo entra in contatto con l’acqua fredda e salata, questa reazione viene ulteriormente amplificata. L’enorme quantità di energia immagazzinata dalla reazione, a questo punto, può essere liberata causando un’enorme esplosione verso l’alto oppure lateralmente, fuori dal vulcano, e può generare enormi onde di tsunami. Esattamente quanto avvenuto a Tonga, in cui le onde di tsunami generate si sono propagate in tutto il mondo.

“La ricerca ha chiarito che le eruzioni vulcaniche sottomarine hanno serie implicazioni per le comunità costiere di tutto il mondo”, commenta Mitsuyuki Unno, Direttore esecutivo della Nippon Fundation, che ha preso parte allo studio. “Un’enorme percentuale della popolazione terrestre vive sulle coste, che sono già vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico, con l’innalzamento del livello del mare e le grandi tempeste. Dobbiamo approfondire la nostra comprensione dei rischi derivanti dai vulcani sottomarini, in modo da poterci preparare meglio e proteggere le generazioni future e i loro ambienti ecologici”.

Riferimenti: Niwa