In questi ultimi anni, dati i grandi cambiamenti politici intervenuti soprattutto nei paesi dell’Est, dal dissolvimento della Unione Sovietica e della Jugoslavia alla riunificazione della Germania, le carte geografiche sono state rifatte molte volte. In ogni carta geografica politica vengono tracciati i confini dei diversi stati che per essere immediatamente distinti tra loro, vengono indicati con colori diversi. La stessa tecnica viene utilizzata all’interno di ogni singolo paese per indicare le diverse regioni che ne fanno parte. Per realizzare quindi una carta geografica politica occorre tracciare i confini delle nazioni e fare in modo che, utilizzando colori diversi, i paesi non vengano confusi tra loro.
La questione dei quattro colori
Un problema di questo tipo era stato posto all’attenzione dei matematici molti anni fa, precisamente nel 1852 da Francis Guthrie. La questione, nota con il nome di “problema dei quattro colori”, si può enunciare così: data una carta geografica su cui siano tracciati i confini delle diverse nazioni, si vuole colorare ogni paese in modo tale che ogni nazione che abbia un tratto di confine in comune con altre abbia colori diversi da tutti i paesi confinanti. Il problema matematico è: quale è il numero minimo di colori che occorre utilizzare per avere la certezza di potere colorare una qualsiasi carta geografica con queste regole. Problema che all’apparenza sembra molto semplice e che invece ha richiesto molti anni – più di cento – per essere dimostrato. Non solo, ma la dimostrazione che fu data nel 1976 da Kenneth Appel e Wolfang Haken (K. Appel & W. Haken, “The four-color problem” in Steen (ed), Mathematics Today, Springer, 1978) suscitò molte discussioni perché era uno dei primi casi in cui la grande capacità di calcolo di un computer aveva messo in grado i due matematici di verificare – di “contare” – i diversi casi che si potevano presentare. La dimostrazione era quindi in modo essenziale incompleta, nel senso che ne erano parte il software e i tabulati di tutti i calcoli che non venivano pubblicati.
Il primo risultato che è stato il punto di partenza di tutta una serie di “dimostrazioni” ottenute con il computer; risultati che hanno rimesso in discussione la “verità” di una dimostrazione matematica. Non a caso qualche anno dopo Hersh e Davis intitolavano un capitolo, dedicato in gran parte alla dimostrazione del teorema dei quattro colori, del libro “The Mathematical Experience” (Birkhäuser, 1981) “Perché dobbiamo credere ad un computer?” (Why should I believe a computer?).
Il teorema dei quattro colori tratta quindi di come poter colorare le diverse nazioni all’interno dei propri confini rispettando le regole sui colori dei paesi confinanti. Ma se si traccia una linea chiusa, un confine insomma, come si fa a stabilire se un punto, una città se vogliamo, è all’interno di quei confini? O se un punto (una città) é fuori dai confini, ovvero è una città di frontiera, sul confine? In matematica tramite la Topologia, vi è un modo molto semplice che permette di stabilire se un punto (una città) è interno, esterno o di frontiera rispetto a una zona delimitata da una linea chiusa (una nazione e il suo confine).
Sembrerebbero dei problemi abbastanza ovvii, che il senso comune può facilmente risolvere. Ma è proprio vero? Se volessi caratterizzare un punto (una città) di frontiera, quale potrebbe essere una buona idea? Un punto (una città) sta sulla frontiera tra due nazioni se muovendosi di poco in una direzione si è dentro una nazione, se invece ci si muove di poco nell’altra si arriva nell’altra nazione. E quand’è che siamo all’interno di una nazione? Quando questo fenomeno non succede: se mi muovo un poco, resto ancora nella stessa nazione; equand’è che un punto (una città) è al di fuori del confine? Se muovendomi poco resto ancora al di fuori della nazione. Insomma l’idea è quella della vicinanza; se “vicino” al punto in cui mi trovo, sono ancora nella stessa nazione, sono all’interno; se muovendomi poco, vado a finire alternativamente in una o un’altra nazione a seconda della direzione, sono sulla frontiera; altrimenti, esclusi questi due casi, sono all’esterno dei confini della nazione, se partendo da un punto esterno muovendomi poco resto all’esterno.
L’ambiguità della vicinanza
Il problema è che la parola “vicinanza” è molto ambigua. A seconda della scala di grandezza vicino per qualcuno può essere lontanissimo per un’altro. Pensiamo al livello atomico o alle distanze delle galassie. In matematica il problema è stato risolto introducendo quelli che si chiamano “intorni”. Se siamo nel piano, dato un punto, un suo intorno è un cerchio centrato nel punto. Allora se prendo un punto di una carta geografica, quel punto sarà interno al confine della nazione, se riesco a trovare (disegnare) almeno un intorno (un cerchio) che contiene solo punti della stessa nazione; sarà esterno se esiste almeno un intorno che ha solo punti esterni alla nazione; sarà di confine se ogni intorno contiene punti sia di una nazione che dell’altra. Naturalmente per poter costruire un intorno ho bisogno di disegnare un cerchio, quindi di individuare il raggio del cerchio, devo essere cioè in grado di calcolare la distanza tra due punti, il punto iniziale e finale del raggio del cerchio. Potendo misurare con la distanza e utilizzando gli intorni, posso stabilire se un punto è interno, esterno e sul confine di una nazione. Non solo nel piano ma in uno spazio di qualsiasi dimensione.
Lo zero come confine
L’insieme di numeri 1, 1/2, 1/3, ……, 1/n, ….., dove n indica i numeri interi positivi, è composto di tutti numeri, tranne il primo, più piccoli di 1. Quindi possiamo dire che il loro confine a sinistra è uno, non vanno mai al di là. A destra hanno un confine, cioè un numero al quale si avvicinano sempre di più? Sono tutti numeri positivi, cioè maggiori di zero, ed è chiaro che al crescere di n, 1/n diventa sempre più piccolo, si avvicina sempre di più a O. Ma arriviamo mai al numero zero? Non esiste certo nessun numero per cui 1/n = 0. Non esiste quindi un “confine” a destra? Intuitivamente si pensa allo 0 come “confine” a destra. Ma ci si arriverà mai? Non è una domanda facile.
Più di duemila anni fa Zenone (attivo verso il 450 a.C.) pose alcuni problemi passati alla storia della scienza come i paradossi di Zenone. «Il secondo è l’argomento detto d’Achille. Esso dice che il più lento non sarà mai raggiunto nella corsa dal più veloce. Infatti è necessario che chi insegue giunga prima al punto da cui è partito chi fugge, cosicché il più lento si troverà necessariamente un po’ più avanti del più veloce… la conseguenza di questo argomento è che il più lento non vien mai raggiunto.». E quindi Achille non raggiunge mai la tartaruga, dato che per arrivare da 0 a 1 bisogna prima arrivare alla metà dell’intervallo, 1/2, poi alla metà della metà, 1/2 + 1/4, = 3/4, poi alla metà della metà della metà, cioè 7/8 e così via, percorrendo successivamente intervalli di ampiezza sempre più piccola. SI dovrebbero sommare le lunghezze 1/2 + 1/4 + 1/8+……….+1/2n +………, che sono in numero infinito, per raggiungere 1. Così come sono infiniti i numeri del tipo 1/n tra 0 e 1. Quindi Achille è sempre più vicino alla tartaruga ma sembra non raggiungerla mai; così i numeri I/n si avvicinano sempre di più a O senza arrivarci mai.
La vicinanza è un concetto ambiguo, si diceva.Dal punto di vista matematico i due problemi sono facilmente risolvibili utilizzando la definizione di limite per una successione di numeri nel primo caso ( i numeri 1/n) e di somma di una serie nel secondo ( e si tratta sempre del limite di una successione). Nel primo caso il risultato è 0, nel secondo è 1. Achille raggiunge la Tartaruga! Serve introdurre però la nozione di limite, che verrà definita in modo preciso solo nel XIX secolo, utilizzando gli intorni, togliendo cioè ambiguità all’idea “intuitiva” di vicinanza, permettendo di “verificare” col calcolo l’esattezza del risultato.