L’Intifada via Web

Un’amicizia via chat fra un ragazzo e una ragazza. Una storia che si ripete ogni giorno in tutto il mondo. Ma che a Gerusalemme può diventare molto pericolosa. Soprattutto se dietro l’incontro si nascondono gli estremisti di Tanzim, un’organizzazione al Fatah. È successo nei giorni scorsi quando Ofir Nachum, sedicenne israeliano, dopo aver stretto amicizia via chat con quella che pensava essere una turista americana, ha accettato di vederla. Secondo la ricostruzione fornita dal quotidiano israeliano Yediot Ahronot, l’adolescente avrebbe incontrato la ragazza a Gerusalemme e avrebbe accettato di salire in macchina con lei. Da lì sarebbero andati verso la città cisgiordana di Ramallah, nei pressi della quale Ofir sarebbe stato ucciso. La guerra israelo – palestinese trova così un altro canale d’azione: Internet. Il conflitto virtuale è iniziato almeno dalla fine del settembre scorso, ma mai prima d’ora aveva valicato il limite della Rete.

Atto primo: qualche giorno dopo il 29 settembre, quando sulla spianata delle moschee di Gerusalemme prende il via l’ennesimo conflitto israelo – palestinese, sul Web fa la sua apparizione wizel.com, un sito creato da alcuni navigatori israeliani, dal quale è possibile scaricare software in grado di spedire 32mila e-mail allo stesso indirizzo. Un’arma informatica alla portata di tutti. E’ l’inizio di una guerra virtuale, snobbata dai media tradizionali, ma non per questo meno pericolosa dei continui scontri che passano ogni giorno in televisione: è questo il parere dell’Fbi che tiene costantemente sotto controllo ogni movimento di truppe del cyberspazio. E adesso la triste vicenda di Ofir ha dato ragione agli investigatori americani.

Atto secondo: il 7 ottobre gli Hezbollah catturano tre soldati israeliani ai confini con il Libano meridionale. La risposta non tarda ad arrivare: il sito dei guerriglieri palestinesi si vede raggiungere da nove milioni di richieste di accesso, un onda che blocca le pagine Web. “Abbiamo rintracciato i computer da cui provenivano gli attacchi”, ha dichiarato alla Reuters il webmaster di hezbollah.org, Ali Ayoub, “ne abbiamo contati 8521. La maggior parte erano collegati a reti informatiche americane e israeliane, una piccola parte, invece è risultata essere canadese e sudafricana”. Il controattacco palestinese colpisce il sito della Knesset, il Parlamento israeliano, e il Tel Aviv Stock Exchange, la Borsa israeliana. La preparazione degli atti terroristici virtuali avviene in chat o nei dialoghi tramite icq. Le armi invece si reperiscono direttamente nei siti web: israelihackers.cjb.org pubblica una lista di siti palestinesi da attaccare, i testi che spiegano come fare e i programmi da utilizzare; il sito di Unity, un gruppo musulmano estremista che per primo ha promosso quella che nelle chat e nelle bbs, inneggia alla cyber-jihad. E ancora su www.arabhackers.org, una mailing list tiene aggiornati i cybercombattenti.

Atto terzo: A novembre a fianco dei palestinesi sono arrivati anche quelli del Pakistan Hackerz Club – Phc: sotto la guida del suo fondatore, conosciuto con il soprannome di Doctor Nuker, i pachistani entrano nel database dell’American – Israeli Public Affairs Committee, il sito della lobby americana pro-israele (www.aipac.org). Il raid virtuale frutta come bottino 700 numeri di carte di credito e circa 3500 indirizzi di e-mail appartenenti ai membri dell’Aipac.

Atto quarto: verso fine novembre per Israele scende in campo ‘The Analyzer’, al secolo Ehud Tenebaum, famoso perché nel 1998, alla testa del gruppo Israeli Internet Underground, sferrò contro i siti del Pentagono uno degli attacchi più audaci che si ricordi a memoria di Rete. Nella cyberguerra in atto Tenebaum, ora ravveduto, si ritaglia il ruolo di contatto con le nuove leve dell’Israeli Internet Underground. Li convince a collaborare con 2XS, la società di sicurezza informatica per cui The Analyzer ora lavora. Insieme mettono in piedi il progetto Soda – sod in lingua ebraica significa segreto – un monitoraggio della Rete informatica israeliana, che evidenzia quali sono i nodi più sensibili a eventuali attacchi da parte palestinese. Dopo quasi due mesi sono circa 115 i siti web che hanno subito attacchi. Secondo una previsione della iDefense, società americana che fornisce servizi di intelligence e che monitora costantemente l’andamento della cyberguerra israelo – palestinese, quella a cui stiamo assistendo è la prima fase di uno scontro che potrebbe trasformarsi in qualcosa di estremamente temibile.

Atto quinto: la guerra virtuale fa la sua prima vittima, Ofir Nachum.

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