Categorie: Società

Lo stile dello zar

Dal 19 settembre la città toscana tornerà, anche se solo per una breve stagione, alle antiche glorie di capitale internazionale dei velluti e broccati. Fino al 10 gennaio del 2010 a Prato andrà in scena “Lo stile dello zar”, un grande evento espositivo realizzato in collaborazione con L’Ermitage di San Pietroburgo. Oltre 130 opere tra tessuti, documenti e quadri per raccontare la storia di una antica via di scambio tra Italia e Russia, una via di commerci, mode e ricercate frivolezze, ma anche di arte e cultura.

Le pellicce di Kiev arrivarono nelle corti europee molto prima che le sete di Lucca e Firenze conquistassero il mercato russo. Già nell’XI secolo, per esempio, le fiere di Bruges e Compiègne offrivano un vasto assortimento di abiti in ermellino e vaio, lo scoiattolo grigio tipico delle foreste russe. Queste pellicce dai colori chiari furono per secoli furono le più diffuse nelle corti europee, divenendo simbolo di regalità. Poi, nel XV secolo, con la disponibilità di pelli di zibellino, si diffuse anche il gusto per le tonalità scure. In quest’epoca, dal connubio tra pellicce russe e sete italiane, prese il via la produzione raffinatissima che la mostra documenta. Uno stile unico nel suo genere di cui lo zar fu primo estimatore.

A partire dal XVI secolo lo zibellino da mano o da spalla era un accessorio irrinunciabile per ogni dama a la mode, mentre gli uomini prediligevano maculate pellicce di lince, che avrebbero conferito loro un tono di ferina virilità. All’epoca, gli italiani più facoltosi iniziarono a sfoggiare caftani turchi e capi d’ispirazione ungara o polacca, riflesso dei sempre più stretti rapporti con le corti dell’Est. Si innescò così una sorta di corsa all’opulenza. Mentre i russi impreziosivano le già sofisticate sete italiane con diademi e gioielli, la Chiesa committenti alcuni dei massimi capolavori delle più celebri maestranze toscane. Ne sono testimonianza paliotti e paramenti della prima sezione della mostra, dall’Incoronazione della Vergine di Jacopo di Cambi proveniente da Firenze, alla tonacella del Parato di Santo Stefano in velluto cesellato e laminato d’oro che appartiene invece al Museo dell’Opera del Duomo di Prato.

La seconda sezione introduce il visitatore nel vestibolo dello zar. Tra drappi di velluto, damaschi e sete ritroviamo i doni che i sovrani europei inviavano alla corte del signore di Moscovia e i paramenti commissionati dalle chiese del Cremlino. Scopriamo cosi che mentre lo zibellino era offerta di prassi dall’Oriente all’Occidente, il made in Italy più ambito dalle corti russe era il drappo d’oro. E’ comunque nella terza sezione che ci si può documentare con dovizia di particolari sul gusto della nobiltà dal Cinquecento a Pietro il Grande. Dalle sopravvesti per gentiluomini in lupo cerviero agli zibellini alla mano delle nobildonne, dalle principesche sete operate agli arazzi di seta cinese, molte sono le testimonianze, già nel tardo Rinascimento, di una moda globalizzata, che è però legata all’eccellenza di maestranze locali. La passerella di abiti e vestimenti che segue l’evoluzione dell’eleganza da un’epoca all’altra scorre in parallelo all’esposizione delle opere di artisti che l’hanno celebrata nei loro quadri. In un magico gioco di specchi, ritroviamo cosi il “Ritratto di giovane donna” di Tiziano, proveniente dall’Ermitage San Pietroburgo, e “L’ambasciatore Ivan Chemodanov” di Justus Suttermans, in prestito dal Palazzo Pitti di Firenze. Di quest’ultima opera, che è anche l’immagine-simbolo dell’intera mostra, si pensava fino ad oggi che rappresentasse la prima ambasceria russa Firenze. E invece no, si tratta della seconda ambasceria: un’altra scoperta dovuta agli studi per l’allestimento della mostra.
Tra le occasioni offerte da questo evento espositivo, che dal Museo del Tessuto s’irradierà in tutti i principali centri culturali della città, segnaliamo infine quella di poter ammirare la pala della Circoncisione realizzata nei primi anni del Seicento dal Cigoli per la chiesa pratese di San Francesco. Acquistata dallo zar nel 1835 e conservata all’Ermitage di San Pietroburgo, tornerà per la prima volta a casa dopo quasi 2 secoli di assenza. 

Luisa de Paula

Giornalista pubblicista, filosofa e counsellor, ha vissuto e studiato tra Roma, Urbino, Milano, Londra, Parigi e New York. Attualmente collabora con Sapere e Galileo e lavora a un dottorato di ricerca sull'intenzionalità nel sogno.

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