Categorie: Società

L’università online non decolla

Le università che vogliono affrontare il mercato dei corsi di laurea on line devono prepararsi a sviluppare un eLearning “sostenibile”. Questo significa efficacia ed efficienza, sia in termini di servizi e monitoraggio dei corsi, che di massa critica nel numero di iscritti. Un punto di vista espresso nel rapporto 2008 “Le lauree a distanza in Italia” di Omniacom, centro di ricerca e fornitura di sevizi nel campo della formazione on line, presentato mercoledì scorso all’università Sapienza di Roma.

“La sostenibilità di un corso a distanza”, sostiene Mirko Tavoni, presidente dell’Italian culture on the net (ICoN), consorzio universitario che promuove e diffonde la cultura e la lingua italiana per via telematica, “è una condizione necessaria, ma non sufficiente a garantirne la qualità”. Una mancanza di parametri di valutazione che negli anni ha determinato una reputazione negativa nei confronti dell’eLearning, privato o pubblico, a prescindere dalla bontà del meccanismo usato per trasmettere contenuti.

Il documento Omniacom fotografa il mercato dei corsi di laurea on line (eCdL), riferendosi sia al mondo dell’accademia classica che si affaccia sul Web, sia a quello degli atenei non statali totalmente telematici. Bisogna distinguere, infatti, tra corsi telematici (svolti da università “virtuali”), teledidattica (a distanza dalle università statali) e in modalità mista (in presenza e non, dalle università statali).

Rispetto allo scorso anno accademico, il numero di università con eCdL si rivela stabile: 48 atenei, uno in meno rispetto al 2006/2007, di cui undici sono completamente via Web. In totale nell’anno accademico 2007/2008 sono stati erogati 249 corsi on line, in aumento rispetto ai precedenti 222. Di questi, secondo i criteri Omniacom, solo 50 sarebbero “virtuosi” (anche se altrettanti sono nella media), mentre 148 sono classificati “a rischio”, a causa del basso numero di iscritti e valore economico, poca qualità di servizi e monitoraggio.

Il mercato dell’apprendimento a distanza è ancora una nicchia: sul totale dell’offerta universitaria ricopre il 2,4 per cento, con circa 56mila iscritti e un fatturato totale di 77,5 milioni di euro (un aumento del 23 per cento rispetto allo scorso anno). Gli atenei telematici, invece, arrivano solo allo 0,7 per cento, ma una singola organizzazione, l’università telematica Guglielmo Marconi di Roma, copre quasi il 25 per cento del mercato totale con i suoi 8.558 iscritti, superando, nel campo dei corsi on line, diversi altri atenei statali.

Ma non è l’unica particolarità che si registra leggendo il rapporto. Se le iscrizioni totali sono in aumento del 19 per cento, gli atenei telematici vedono incrementare gli studenti del 37 per cento, anche se diminuiscono le matricole al primo anno. “Questo significa che aumentano le iscrizioni ad anni successivi al primo e i passaggi da altri corsi di laurea in presenza”, sottolinea Marcello Giacomantonio, amministratore delegato di Omniacom, “probabilmente da parte di studenti lavoratori”. Da questo punto di vista, però, il documento sugli eCdL non viene in aiuto, perché non analizza quanti iscritti in effetti studino e lavorino.

Rispetto all’inchiesta di Galileo dello scorso anno sulle università telematiche, non si può certo dire che il panorama sia rivoluzionato. Il conflitto di interessi tra docenti di atenei statali e non, infatti, rimane praticamente la norma e, almeno quando i nominativi dei professori sono facilmente reperibili sui siti, di dominio pubblico. “Basterebbe che gli atenei statali non permettessero ai propri docenti di insegnare in università private”, commenta Giacomantonio. E alcuni atenei già lo hanno fatto, come quello di Padova. Casi isolati che permettono alla stragrande maggioranza degli atenei online di non disporre di docenti e ricercatori che lavorino a tempo pieno. Secondo le informazioni reperite sul sito del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (Miur), nel 2007 i professori ordinari sarebbero stati in totale otto (quattro alla Marconi, due alla TelMa e uno alla Pegaso e alla Unisu). Si contano poi tre associati e un solo ricercatore, tutti alla Marconi.

Salta agli occhi anche il dato sui fuori corso: alcune università telematiche ne hanno una proporzione inferiore non solo alla media nazionale (alcune volte addirittura nessuno studente, come nel caso di Unitel, Pegaso, Uninettuno, Mercatorum e Leonardo da Vinci) ma anche a quella che si registra nei migliori atenei statali italiani.

Una vicenda, quella delle università telematiche, che presenta più di un lato oscuro. L´ex Ministro Fabio Mussi se ne era accorto e aveva preparato un decreto che ridefiniva i requisiti minimi degli atenei – per esempio un numero minimo di docenti di ruolo. Al momento della caduta del Governo Prodi, il decreto non aveva ancora ricevuto il visto definitivo da parte del Consiglio di Stato. E a oggi il Ministero non ha comunicato l’intenzione di riprendere le fila del discorso.

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