Diritto di scegliere. Sulla propria salute, il matrimonio, i rapporti sessuali, la procreazione. Un diritto che deve essere difeso e garantito per tutte le donne e gli uomini del pianeta. Questo è il cuore del rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) sullo Stato della popolazione 1997, curato nella versione italiana dall’Aidos (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo) e presentato mercoledì scorso. “I diritti umani, se riconosciuti a livello internazionale, possono fare la differenza nella vita della gente, dando a ciascuno il diritto di scegliere” si legge in apertura del rapporto. E non è un caso che l’attenzione venga posta proprio sul diritto di decidere liberamente come e quando procreare, e di poterlo fare salvaguardando la propria salute. Perché “garantire la possibilità di scegliere nella procreazione si traduce nella possibilità di scegliere in molti altri campi”.
Ma perché tanta importanza alla libertà di scelta, che può apparire un genere di lusso se paragonato ai grandi problemi della crescita demografica, della carenza di risorse, della povertà? E che anzi sembra andare in senso contrario all’esigenza del contenimento delle nascite? “I bisogni globali e nazionali coincidono con i diritti e gli interessi personali” sostiene Nafis Sadik, direttrice esecutiva dell’Unfpa. “Se venisse data loro la possibilità di scegliere, la maggior parte delle donne nei paesi in via di sviluppo vorrebbe avere meno figli della generazione dei propri genitori”.
L’Unfpa parla chiaro: il modo più pratico ed efficace di gestire la politica demografica e dello sviluppo consiste nel mettere donne e uomini in condizione di prendere liberamente le proprie decisioni in fatto di procreazione. Questa indicazione generale, emersa già in occasione della conferenza del Cairo del 1994, sta cominciando a tradursi sempre più concretamente a livello locale. Da un lato molti Stati del Sud del mondo hanno cominciato a inserire norme per la tutela dei diritti sessuali e riproduttivi nelle proprie leggi nazionali, come la Colombia, il Sudafrica, l’Uganda, il Messico, il Salvador, dall’altro sono sempre più numerosi gli interventi internazionali che investono in servizi per la pianificazione familiare incrociati con programmi più integrali per la salute delle donne. “Si tratta di servizi non più `verticali’ ” dice Nerina Perea, rappresentate dell’Unfpa. Infatti, è sempre più chiaro che gli interventi devono comprendere un’assistenza che copra l’intero arco della vita, che non prescinda dalla prevenzione e dall’informazione delle persone a cui si rivolge. Compresi i mariti, che non devono ostacolare le proprie mogli nella scelta di usare gli anticoncezionali. Tutto, ovviamente, nel rispetto delle abitudini e delle credenze della cultura nella quale si sta operando.
Un caso emblematico, a questo riguardo, è quello delle mutilazioni genitali femminili. Questa sorta di “circoncisione”, praticata sulle bambine in molti paesi dell’Africa, dell’Arabia e del Golfo Persico, comporta interventi che possono avere gradi diversi di invasività, le cui conseguenze si riflettono sulla salute fisica e mentale, in aperta violazione del diritto alla libertà e alla sicurezza della persona, riconosciuto a livello internazionale. Ma se queste mutilazioni sono state condannate dalla Conferenza del Cairo, dalla quarta conferenza mondiale sulle donne e da una dichiarazione congiunta Oms-Unicef-Unfpa, è anche vero che non possono essere semplicemente vietate o rimosse. “In Uganda”, racconta la ginecologa Serena Donati che ha collaborato a diversi progetti di educazione sessuale e pianificazione familiare dell’Unfpa, ”è stato fatto un esperimento, direi riuscito. Durante il rito che prevedeva questo tipo mutilazione, è stato proposto di sostituire all’intervento cruento l’offerta di un regalo per ogni bambina. Con il risultato di conservare, per lo meno in parte, il complesso tradizionale e di salvare le ragazze dalla mutilazione”. Ovviamente l’obiettivo è stato raggiunto grazie al lavoro di personale altamente qualificato, in grado di capire le esigenze delle culture diverse dalla nostra, evitando però la “passività di fronte a pratiche aberranti in nome di una visione distorta del multiculturalismo”.
Se la salute riproduttiva passa attraverso il diritto di scegliere da parte delle madri, anche lo sviluppo sostenibile del pianeta non può prescindere dal riconoscimento delle enormi “risorse femminili, ancora compresse, sulle quali si basa l’economia di molte zone rurali del mondo”. “Anche questo obiettivo” dice Angela Finocchiaro, ministra italiana per le Pari opportunità “non sarà raggiungibile senza una nuova consapevolezza da parte mondo maschile. Sugli uomini, al giorno d’oggi, ricade la responsabilità di impedire lo sviluppo economico del loro paese, perché non riconoscono alle donne l’accesso alle decisioni riguardo alle politiche alimentari che, di fatto, già gestiscono in piena autonomia”.