Zanzare della malaria, per sterminarle arriva l’ingegneria genetica

Gli animali più letali al mondo? Le zanzare. Che hanno provocato (indirettamente) più di 480 mila morti lo scorso anno, e quasi 200 milioni di contagi. Sono i numeri impressionanti della malaria, malattia endemica soprattutto in Africa, Asia e America Latina e diffusa, per l’appunto, dalle zanzare. Ma qualcosa potrebbe cambiare, stando ai nuovi risultati sperimentali di una ricerca che fa parte di un ambizioso progetto, che ha come obiettivo l’eradicazione definitiva della malaria dalle zone dove oggi miete più vittime. Sterminando, letteralmente, le zanzare. A guidare la ricerca, che è pubblicata su Nature Biotechnology,  è l’italiano Andrea Crisanti, dell’Imperial College di Londra.

“Il lavoro è iniziato più di 15 anni fa, perché la comunità scientifica e gli operatori di sanità pubblica si sono resi conto che le misure disponibili sono insufficienti per eliminare la malaria dalle zone più povere dell’Africa per una serie di problemi legati al costo e alla sostenibilità”, ha raccontato Crisanti a Galileo. “Una delle soluzioni alternative che la comunità scientifica cercava da tempo era quella di rendere le zanzare incapaci di trasmettere la malaria”.

Il “gene drive”

L’obiettivo dichiarato dai ricercatori è impedire alle zanzare di riprodursi, in modo da ridurne drasticamente il numero. Come? Ci vuole l’ingegneria genetica. Si può fare in due modi: o introducendo nelle zanzare un gene che blocca la trasmissione del parassita, oppure introducendo dei geni che bloccano la capacità riproduttiva delle zanzare.

Il risultato è che nel primo caso le zanzare sono resistenti al parassita, ma il loro numero non diminuisce, nell’altro caso invece il numero di zanzare che trasmette la malaria si riduce progressivamente, fin quando la popolazione collassa e la malattia non viene più trasmessa. “Entrambe le soluzioni richiedono una tecnologia di modificazione genetica che noi abbiamo sviluppato nel 2001”, spiega ancora Crisanti. “Subito dopo, però, ci siamo trovati di fronte a un altro, grosso problema. Per avere un impatto, il numero di zanzare modificate da introdurre nell’ambiente dev’essere molto elevato”.

Tutti gli organismi che si riproducono sessualmente, zanzare comprese, ereditano metà dei geni dal padre e metà dalla madre e a loro volta ne trasmettono solo metà alla generazione successiva. “Questo”, va avanti il genetista, “implica che, contrariamente a quanto si possa pensare, la frequenza della modificazione genetica introdotta non cambia mai”.

Di conseguenza, per avere un impatto tangibile bisognerebbe rilasciare un enorme numero di zanzare enorme. E da qui la necessità di creare una soluzione genetica che fosse in grado, autonomamente, di aumentare la propria frequenza col passare delle generazioni. È la cosiddetta tecnica del gene drive, che permette durante la formazione dei gameti – gli spermatozoi nel maschio e le uova nella femmina – di far sì che, se il cromosoma paterno ha la modificazione genetica si copi sull’altro cromosoma, e viceversa, in modo che alla fine tutti ereditano il cromosoma geneticamente modificato.

Doublesex

“Gene drive” significa che un gene modificato viene sicuramente trasmesso alla generazione successiva di zanzare. Ok, ma di quale gene parliamo? Ce lo spiega ancora Crisanti: “La particolare soluzione che abbiamo adottato è stata distruggere un gene che si chiama doublesex. Questo gene esiste in due varianti, maschile e femminile. Noi abbiamo distrutto quella femminile.” In pratica, i ricercatori hanno eliminato il gene che determina la differenziazione sessuale femminile. Questo significa che i maschi si riproducono normalmente, e trasmettono la modificazione genetica. Le femmine, se ereditano una sola copia del gene non hanno nessun problema ma, man mano che la frequenza della modificazione aumenta, nasceranno femmine che hanno entrambi i geni distrutti, sia paterno che materno.

Zanzare che non pungono

A quel punto, le femmine non solo sono sterili, ma presentano un fenotipo – l’espressione fisica del corredo genetico – di tipo maschile perché è stato distrutto il gene che controlla la differenziazione cellulare. Quindi non sono proprio delle femmine”, continua Crisanti “ma pseudomaschi, cioè presentano un abbozzo di genitali maschili e, soprattutto, non pungono”. Insomma, quando la modificazione genetica raggiunge il 100% grazie al gene drive, non nascono più femmine fertili. “Significa che una popolazione che contiene solo maschi diminuisce il suo numero, proprio come abbiamo visto nei nostri risultati.” Un altro elemento importante è che il doublesex è un gene che viene trasmesso sempre, pena la perdita di funzione del gene stesso. Non è possibile che nascano zanzare senza il doublesex modificato e questo significa che non ci sono possibilità che si formino varianti resistenti.

Fase due

La ricerca non si ferma qui. Crisanti spiega che il progetto, che rientra all’interno di “Target Malaria”, finanziato dalla Fondazione Bill & Melissa Gates, è totalmente allineato con le raccomandazioni dell’Oms e con quelle dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti, che prevede un approccio a step. Dopo aver dimostrato che il gene drive funziona in un ambiente di laboratorio, la fase successiva è di mostrare lo stesso in un ambiente che riproduca le condizioni ambientali tropicali.

“È quello che stiamo facendo ora, proprio in Italia, nei laboratori del Polo d’innovazione Genomica Genetica e Biologia (Gbg) di Terni”, dice Crisanti. Qui le zanzare vengono fatte riprodurre in grandi camere, che riproducono fedelmente le condizioni ambientali dei luoghi come Bana, in Burkina Faso, dove poi avverrà la sperimentazione vera e propria, e che dovrebbe costituire la fase finale. “Saremo anche in grado di studiare altri aspetti, come il flusso orizzontale di geni, cioè se il gene, a contatto con specie molto simili, si sposta da una specie all’altra. Oppure studiare le reti nutrizionali, cioè dove si pone la zanzara nella catena alimentare. Questi dati saranno molto importanti per preparare poi un dossier da sottoporre alla autorità regolatorie”.

Lotta alla malaria vs ambiente?

Restano, sul progetto, alcune perplessità di carattere etico e ambientale. Che impatto può avere l’eliminazione di alcune specie di zanzara dalla catena alimentare di un certo ecosistema? Già in passato si è puntato all’eliminazione delle zanzare che veicolavano la malaria. Una malattia che in Italia rappresentava “il più grave problema di sanità pubblica a livello nazionale”, come sottolineava il senatore Luigi Torelli presentando nel 1882 la prima carta della diffusione della malaria. All’inizio del secolo scorso la malaria causava in Italia almeno 15 mila morti ogni anno in gran parte delle regioni italiane, con i picchi nelle isole. Metà dei 25 milioni di italiani era a costante rischio di infezione.

Solo nel 1970 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) dichiarò l’Italia come paese libero dalla malaria. Per riuscirci, si ricorse ci fu un imponente uso di pesticidi, come il DDT. “Oggi in Sardegna delle quattro specie di zanzare che trasmettevano la malaria, tre sono state eliminate per sempre, e una sopravvive in un ambiente molto ristretto. Possiamo dire che la Sardegna fosse un posto migliore quando c’era la malaria?”, osserva il genetista.”Il caso italiano dimostra che l’eliminazione delle zanzare vettori non ha causato particolari problemi ambientale. In effetti, le zanzare che trasmettono la malaria sono una piccola percentuale di tutte quelle che vivono nell’ambiente tropicale. In Africa ci sono 850 specie di zanzare e noi attacchiamo solo una piccola minoranza. Sicuramente, non si può generalizzare. Bisogna raccogliere tutti i dati possibili per liberarsi da dubbi e perplessità, ma ci sono dei precedenti da cui imparare”.

Lorenzo Tenuzzo

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