Mamma, ho costruito un robot!

Ha costruito un piccolo dinosauro che, come quelli di Jurassic Park, si muove inseguendo i lampi di luce. Ma non è Steven Spielberg. E’ “solo” un bambino di 10 anni con una grande passione per il Lego. E per i computer. Infatti con i giocattoli della nostra infanzia non riusciremmo mai a ripetere l’impresa del giovane statunitense: occorrono invece i nuovi “mattoncini programmabili” prodotti dalla famosa industria danese di giocattoli, in collaborazione con il prestigioso Massachussets Istitute of Tecnology (Mit).

L’ultimo nato in casa Lego si chiama Cricket. Contiene un piccolo computer, alimentato da una batteria a 9 volt, che può controllare due motori e ricevere informazioni da due sensori. I mattoncini infatti sono in grado di interagire con l’esterno in molti modi diversi: tramite i motori muovono altri oggetti, oppure producono luci e messaggi sonori e trasmettono segnali infrarossi. Naturalmente hanno anche bisogno di ricevere informazioni:i suoi sensori captano luci, suoni, calore e reagiscono se vengono toccati. Comunicando tramite segnali infrarossi, più mattoncini possono scambiarsi informazioni tra loro, e si possono collegare per creare colonie di creature che interagiscono. In questo modo i ragazzi sperimentano anche concetti come l’emergere del complesso a partire dal semplice, e i primi criteri di auto-organizzazione.

Utilizzando un linguaggio di programmazione appositamente studiato per i bambini, il Logo, i ragazzi scrivono il loro programma su un normale Personal computer e poi lo trasferiscono, con un collegamento, al mattoncino. Una volta tolto il cavo, il programma rimane immagazzinato nel Lego. E il gioco comincia. Si possono anche inserire più programmi sullo stesso mattoncino e decidere, di volta in volta, quale fargli eseguire. In questo modo i ragazzi possono disegnare (e ridisegnare in tempo reale) le proprie investigazioni ed esperienze.

“Una vera e propria rivoluzione nell’apprendimento” spiega Nicholas Negroponte, co-fondatore e direttore del Media Lab, la struttura del Mit che si occupa di questa ricerca, “che prevede il ricorso alla tecnologia per allargare gli orizzonti culturali dei ragazzi”. Lo scopo è superare la logica della “scatola nera”, cioè dell’oggetto già confezionato e dal funzionamento misterioso, per affrontare l’idea dell’oggetto che pensa e con cui pensare. I giocattoli già in commercio che si servono dell’elettronica nascondono dietro un alone di mistero tutta la parte dedicata alla programmazione. “Dando ai ragazzi l’opportunità di costruire, programmare e giocare con modellini che svolgono diverse funzioni automatiche, il mistero viene svelato”, sostiene Seymour Papert, Lego Professor of Learning Research del Mit.

I bambini possono sperimentare, giocando, una vasta gamma di nuove attività e imparare già dai primi anni dell’infanzia concetti che oggi vengono affrontati solo nei corsi universitari. E nello stesso momento si sperimentano come disegnatori e inventori, dando libero sfogo alla fantasia.

C’è chi ha costruito una automobilina che tramite i suoi sensori si muove con una logica simile a quella del Sojourner che ha studiato la superficie di Marte. Mentre una bambina di appena dieci anni ha escogitato un sistema per fotografare gli uccellini che vengono a bere nella sua casetta: l’uccellino che si avvicina al sensore fa scattare la macchina fotografica, anche quando la bambina è a scuola. Ma c’è anche chi ha usato i nuovi “giocattoli” per verificare che la luce del frigorifero si spenga davvero quando si chiude lo sportello.

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