Arriva il super vetro

    Non saranno i nuovi supereroi della Marvel e non hanno mai visto la kriptonite verde, ma hanno inventato il super vetro: vengono dall’Università degli studi di Milano – Bicocca e sono quattro giovani ricercatori che si occupano di fisica applicata.

    Il team milanese ha ideato un “vetro intelligente” mettendo a punto una nuova miscela chimica che permette di produrre un materiale sottile di biossido di silicio, componente principale del vetro, con all’interno nanocristalli di ossido di stagno (struttura ossido-in-ossido). Il risultato è un nuovo tipo di vetro che potrà essere utilizzato su larga scala per nuovi dispositivi tecnologici, ma anche in diagnostica medica, elettronica e nella comune illuminazione.

    Il progetto è stato svolto in collaborazione con il Los Alamos National Laboratory e il Massachusetts Institute of Technology (MIT). Ha risposto alle nostre domande il fisico Sergio Brovelli, uno degli componenti del team.

    Perché il vostro vetro viene definito “intelligente”?

    “A differenza del vetro comune, il nostro dispositivo è in grado di svolgere attivamente una funzione in risposta a uno stimolo esterno. In altre parole, è capace di emettere luce ultravioletta se attraversato da corrente elettrica. La capacità di condurre elettricità non è un aspetto secondario, ma rappresenta di per sé un risultato importante nella tecnologia dei materiali trasparenti; in tutti i comuni materiali conduttori, infatti, le cariche elettriche danno luogo a interazioni con la luce visibile, conferendo al materiale il tipico aspetto metallico: noi invece abbiamo ottenuto un materiale trasparente che conduce elettricità. Quindi, a differenza del vetro comune, il nostro può condurre elettricità ed emettere luce ultravioletta, come quella del sole, per intendersi”.

    Il super vetro può essere utilizzato in maniera molto versatile. Quali sono le sue applicazioni?

    “La radiazione ultravioletta consiste in fotoni ad alta energia che possono essere convertiti facilmente in luce visibile permettendo, quindi, di produrre sorgenti di luce di vari colori o bianca, da utilizzare per diverse applicazioni. E, infatti, il nostro materiale può potenzialmente essere applicato a varie tecnologie. Ad esempio: la radiazione ultravioletta è in grado di attivare reazioni biochimiche o fotochimiche di qualsiasi genere, dalla trasformazione delle proteine alla depurazione dell’acqua. Inoltre, poiché il nuovo vetro può essere costruito con dimensioni molto piccole, si potrebbero realizzare dispositivi per diagnostica medica inoculabili nell’organismo, come delle sonde. Il vetro, tra l’altro, garantisce ottime proprietà meccaniche e soprattutto un’eccezionale inerzia chimica. Quest’ultima proprietà, che indica l’incapacità del vetro di reagire chimicamente con l’esterno, rappresenta un notevole vantaggio dal punto di vista delle possibili applicazioni in ambienti ostili, come ad esempio i fondali marini, oppure nello sviluppo di sistemi biocompatibili, come le protesi“.

    Non c’è il rischio che il dispositivo si infranga come un comune vetro?

    “Il dispositivo che abbiamo realizzato è solo un prototipo che dimostra la fattibilità di sistemi di questo tipo e non è ancora ottimizzato per l’uso immediato. Tuttavia, recentemente, vari gruppi di ricerca hanno dimostrato che sistemi LED (dispositivi che sfruttano le proprietà ottiche di alcuni materiali semiconduttori per produrre luce), come il nostro, possono essere ingegnerizzati in strutture flessibili e integrabili in vivo. Il nostro materiale, essendo inerte e miniaturizzabile, ha le caratteristiche ideali per essere impiegato in queste tecnologie di frontiera”.

    Il dispositivo in supervetro è già in produzione?

    “Una produzione su larga scala dei nostri dispositivi è ancora prematura. Non è da escludere, però, che la struttura chimica ossido-in-ossido da noi sviluppata possa trovare impiego in altri sistemi che utilizzano nanomolecole con ossido, un composto chimico che si ottiene dall’ossigeno. È importante sottolineare che il nostro dispositivo è molto conveniente anche da un punto di vista economico: può essere assemblato in un laboratorio di chimica con un forno ad alta temperatura (circa 1000 °C) e semplici impianti di deposizione per gli elettrodi metallici comunemente utilizzati nei laboratori”.

    Quale sarà il passo successivo?

    “Adesso vorremmo ottimizzare sia il materiale che la struttura del dispositivo, per renderlo commercializzabile su larga scala. In poche parole, vogliamo che il nostro dispositivo possa costituire parti di alcuni prodotti, come TV, computer o lampade. Speriamo insomma che nell’era degli avvolgenti schermi che proiettano la terza dimensione, e dei palmari che interagiscono con gli ologrammi, la nostra scoperta possa stravolgere ancora una volta la tecnologia”.

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