Come distinguiamo un volto da immagini che gli somigliano?

    Vi sembra di vedere facce scolpite nelle rocce, nuvole a forma di animali e la luna piena che vi sorride? Niente paura, non avete le allucinazioni. Si tratta semplicemente della pareidolia, ovvero della tendenza naturale ad associare forme familiari a svariate figure, fenomeno che alcuni neuroscienziati del Massachusetts Institute of Technology (MIT) hanno studiato per capire come il nostro cervello riesca a distinguere un volto vero da immagini o oggetti che hanno le stesse sembianze.

    Se è noto che aree analoghe presenti nei due emisferi del cervello umano regolino in modo diverso alcune funzioni neuronali, come l’articolazione del linguaggio o la percezione dello spazio, finora non si conoscevano bene i meccanismi adoperati per discriminare una faccia vera da qualcosa di simile. Uno studio pubblicato lo scorso gennaio sulla rivista Proceedings of the Royal Society B dimostra che il giro fusiforme, regione addetta al riconoscimento di corpi, volti e colori, funziona in modo diverso nella parte destra e sinistra del cervello.

    Per indagare questo aspetto, Pawan Sinha e colleghi hanno sottoposto 300 fotogrammi di volti, figure somiglianti o assolutamente non corrispondenti a essi, ad alcuni soggetti coinvolti nella sperimentazione e ne hanno esaminato l’attività del giro fusiforme nei due emisferi cerebrali con un avanzato sistema di risonanza magnetica per immagini. I ricercatori hanno osservato che nella parte destra del cervello l’attività cambia drasticamente quando si passa dall’immagine di un volto a qualunque altra, indipendentemente da quanto questa sia simile ad una faccia. Nella parte sinistra, invece, il cambiamento è graduale a seconda di quanto i fotogrammi ricordini un volto. Questi dati indicano che nell’emisfero destro il giro fusiforme opera una netta distinzione delle immagini, inserendole nelle categorie “faccia”/”non faccia”, mentre in quello sinistro applica un graduale riconoscimento sulla base della loro somiglianza ai volti senza, però, classificarli come tali.

    Sinha sottolinea l’importanza di questo studio nel chiarire il momento preciso dello sviluppo di un individuo in cui le due aree maturano le loro specifiche funzioni. Per farlo potrebbe essere determinante condurre analisi di elettroencefalografia (EEG) su bambini ciechi che recuperano la capacità visiva in età precoce e che, dunque, non hanno adoperato prima tali meccanismi di visualizzazione.

    Credit per l’immagine: Village9991/Flickr

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