Riprogrammare l’orologio biologico con le staminali

    Il paradigma della fertilità femminile finora ha detto che il numero di cellule uovo in una donna è determinato sin dalla nascita, e che si riduce durante la vita fino a esaurirsi con l’insorgere della menopausa. Ora un articolo pubblicato sulla rivista Nature Medicine sfida questo concetto e mostra che, nelle ovaie di donne in età riproduttiva, sono presenti cellule staminali in grado di produrre nuovi ovociti.

    Lo studio condotto da Jonathan Tilly presso il Massachusetts General Hospital di Boston è basato su studi precedenti fatti sui topi, secondo cui le ovaie di femmine adulte potevano produrre nuovi ovociti. Tuttavia, finora questi risultati non erano stati replicati nelle donne. Per la prima volta Tilly e i suoi collaboratori, utilizzando la tecnica messa a punto per i topi, sono riusciti a isolare da ovaie umane cellule con caratteristiche simili alle staminali ovariche murine.

    Per i loro esperimenti gli autori hanno utilizzato le ovaie prelevate da donne che si erano sottoposte a un intervento di riassegnazione sessuale. Da queste hanno isolato una popolazione piuttosto rara di cellule che esprimevano il corredo proteico tipico di una cellula staminale ovarica ed erano in grado di propagarsi in vitro. Per verificare che queste potessero dare origine a cellule uovo funzionanti in vivo, i ricercatori le hanno trapiantate sottocute nei topi. Dopo due settimane le cellule trapiantate avevano formato follicoli primordiali contenenti al centro nuovi ovociti.

    Questi risultati, sostiene l’autore, sono la prova inequivocabile che le ovaie umane contengono cellule staminali in grado di generare ovociti. Un aspetto essenziale ancora da verificare è se queste cellule possano essere fecondate e dare origine a un embrione; tuttavia, conclude Tilly, le implicazioni di questi studi per la vita delle donne sono notevoli.

    Subito dopo la pubblicazione di questi risultati, il quotidiano The Independent ha riportato che Tilly, in collaborazione con Evelyn Telfer, ricercatrice presso l’Università di Edimburgo, ha chiesto all’Human Fertilization and Embriology Authority (HFEA) britannica l’approvazione di un protocollo per la fertilizzazione in vitro di questi ovociti. Se concessa, afferma Telfer, questo sarebbe il primo esperimento di fertilizzazione di cellule uovo ottenute da staminali ovariche umane e aprirebbe la porta ad una serie di studi che potrebbero rivoluzionare i trattameti di fertilità.

    Anna Veiga, esperta di fecondazione assistita e direttrice dell’ESHRE (European Society of Human Reproduction and Embryology), parla delle potenziali implicazioni di questo studio per le donne e mamme di oggi.

    Secondo lei è davvero possibile ritardare la menopausa e permettere a una donna di avere figli anche dopo i 50 anni?
    “Questo è un argomento molto delicato ed è pertanto necessario evitare conclusioni affrettate. Lo studio pubblicato su Nature Medicine è molto importante, in quanto dimostra per la prima volta che nelle ovaie umane adulte esisterebbero cellule staminali in grado di produrre ovociti. Tuttavia i risultati sono ancora preliminari. Inoltre non è chiaro se queste staminali contribuiscono alla produzione di cellule uovo durante la normale vita riproduttiva di una donna”.

    E da un punto di vista terapeutico, sarà possibile curare la sterilità?
    “Sappiamo ancora troppo poco sulla biologia di queste cellule. Soprattutto non è chiaro se siano in grado di generare ovociti regolarmente o solo in specifiche condizioni”.

    Dobbiamo quindi concludere che per le donne nella vita reale questi risultati non cambiano ancora nulla?
    “Temo di sì. Per adesso è prematuro pensare ad applicazioni pratiche così dirette come ritardare la menopausa o curare l’infertilità. Tuttavia va sottolineato che questi risultati sono estremamente innovativi e se confermati rappresentano una pietra miliare nella comprensione della fertilità femminile. Sicuramente sono un primo passo verso lo sviluppo di trattamenti innovativi per le donne, magari in un futuro un po’ più lontano”.

    Credit immagine: nojhan / Flickr

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