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Meno diritti per le prostitute

di
Paola Coppola

“Una proposta datata, ferma agli anni Sessanta, che dimostra come non si conosca il fenomeno della prostituzione in Italia”. Così Carla Corso, presidente del Comitato per i diritti civili delle prostitute, commenta il disegno di legge presentato alcuni giorni fa alla Commissione giustizia della Camera dal deputato di Forza Italia Gianfranco Pittelli. Il provvedimento, che verrà discusso a settembre, si propone di modificare – dopo quasi cinquant’anni dalla sua approvazione e più di venti differenti proposte – la Legge Merlin, che portò alla chiusura delle case di piacere. E riportare così “ordine” in quello che è considerato il mestiere più antico del mondo. Come? Togliendo le prostitute dalle strade. All’idea di istituire appartamenti che ospitano un massimo di tre prostitute, regolarmente registrati in questura e con tanto di certificazione di idoneità igienico-sanitaria dei locali, si ribellano tutte le organizzazioni che lavorano accanto alle donne di strada. E che conoscono le diverse sfaccettature del fenomeno: circa 50 mila prostitute, tra cui 20-25 mila straniere senza un regolare permesso di soggiorno e spesso vittime del racket, a cui si aggiungono uomini e transessuali. Questi ultimi poi non sono proprio considerati da nessuno degli otto punti delle ‘Disposizioni in materia di prostituzione’ appena presentate. Non solo: “Alle prostitute italiane questo disegno di legge imporrebbe solo dei doveri, come l’obbligo di pagare le tasse e di sottoporsi a controlli sanitari, senza dare nessun diritto”, commenta Corso. Questo provvedimento non soddisfa soprattutto perché non sembra rispondere al principale dei problemi: lo sfruttamento della prostituzione, che può essere combattuto punendo chi gestisce i traffici e non le donne che lavorano in strada (per loro la nuova legge prevede condanne fino a tre anni di reclusione) o i clienti (per i quali sono previste multe fino a tremila euro, il sequestro dell’auto e la sospensione della patente fino a un anno). Certo, l’argomento è spinoso e non è facile metterci mano, come spiega Franca Bimbi docente di sociologia a Padova e deputata della Margherita nella commissione Salute, diritti e traffico di persone: “Una legge sulla prostituzione deve considerare l’idea occidentale di qualità del rapporto sessuale e il principio di dignità del lavoro: per questo è difficile che essa riconosca la prostituzione come ragione sociale di un’impresa. Dall’altra parte però punire il cliente che si rivolge in pubblico a una prostituta contrasta con l’idea di libertà di scambio sessuale presente nella nostra società, e con il fatto che individui liberi e responsabili non possono essere incriminati per fatti che riguardano la loro sfera privata. A meno che, come accade per le denunce di violenza sessuale, non siano loro a sollevare il problema”. Per Bimbi sarebbe meglio inasprire le pene per chi sfrutta la prostituzione e cancellare i reati di favoreggiamento e adescamento, a meno che non si tratti di minorenni o di persone incapaci di intendere e volere. Senza ipocrisie. E tenendo conto che oggi nel mondo della prostituzione i soggetti più deboli sono proprio le immigrate senza permesso di soggiorno. “Nel testo proposto sono discriminate, e rese una sorta di capro espiatorio, una figura bersaglio che si esibisce all’aperto, visto che non potrebbero affittare un appartamento”, conclude la parlamentare.Rischiano di essere un boomerang anche i controlli sanitari obbligatori. Come avverte l’Organizzazione mondiale della sanità, malattie come l’Aids hanno dei periodi finestra lunghi e un certificato sanitario può instillare un falso senso di sicurezza. “E poi chi controlla i clienti? “, si chiede Maria Gigliola Toniollo, responsabile nazionale ufficio nuovi diritti della Cgil. “Più efficaci a mio avviso sono le strategie di riduzione del danno”. Iniziative, queste, previste in numerosi programmi già avviati a livello locale in diverse regioni del Paese. Un esempio per tutti è il progetto partito in via sperimentale a Venezia nel 1995 e che oggi è diventato un servizio comunale a tutti gli effetti. Si tratta di unità operative di strada che raggiungono le prostitute e forniscono loro assistenza sanitaria o le donne aiutano se vogliono liberarsi dai loro sfruttatori. A queste donne viene offerto un programma personalizzato di inserimento socio – lavorativo. Un’altra vita possibile.

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