Metti la Sicilia sul Dnepr

La Russia riscopre le proprie radici. Storiche, archeologiche, culturali. Un ritorno alle origini che sa di Medioevo, perché proprio questo fu il periodo in cui si crearono le premesse per il sorgere della nuova potenza. Uno scenario nuovo che si apre oggi grazie ai maggiori contatti che gli studiosi russi hanno con i loro colleghi di tutto il mondo. Primi fra tutti quelli italiani. Perché proprio in Italia si trovano testimonianze della cultura russa di quel tempo. Una rete di collaborazione che ha portato a un convegno, tenutosi a Milano nei giorni scorsi, promosso dalla Fondazione Lerici, una delle realtà più attive in questo campo che ha così festeggiato i suoi cinquant’anni di vita.

“Quando nel 1989 ho visto per la prima volta le chiese tedesche, ho parlato con storici e archeologi, e ho visitato le loro biblioteche, ho subito capito che noi russi dovevamo riscrivere la nostra storia. Fino ad allora l’avevamo studiata solo sui documenti che trovavamo in patria, ed era venuta fuori la storia di una specie di isola separata dal resto del mondo, non quella di un paese che sin dalla nascita ha dialogato con i suoi vicini. Ora dobbiamo ripensare noi stessi come parte di un mondo più vasto”.

A parlare è Leonid Beliaev, medievalista dell’Accademia delle scienze russa, protagonista del recente revival di studi storici nel suo paese. Perché è proprio il Medioevo la chiave di tutto, quando con la nascita della Rus’ di Kiev prima e della città di Mosca poi furono gettate le basi della magnificenza artistica russa. Che hanno più di un filo diretto proprio con l’Italia. Non a caso, racconta Beliaev, la prima descrizione di una città russa, precisamente di Mosca, è di Ambrogio Contarini, commerciante veneziano. Lo studioso russo mette poi in evidenza le precise rispondenze tra la Sicilia normanna e la regione del Dnepr, entrambe comunità isolate confinanti con il mondo musulmano, governate da scandinavi e con un occhio sempre attento a Bisanzio, frequentate dagli stessi artisti. Ne viene fuori una specie di circuito, un loop economico e culturale che tra Russia, Scandinavia, Sicilia e Bisanzio ingloba l’Europa tutta.

E qui si inserisce Oleg Ioanissian del museo dell’Hermitage di San Pietroburgo, che mostra le molte corrispondenze, sia architettoniche che decorative, tra le chiese medievali lombardo-emiliane – la cattedrale di Modena, San Michele a Pavia, S. Abbondio a Como – e le grandi cattedrali bizantine di Vladimir, Suzdal, Novgorod. Si è persino giunti a sospettare che i maestri inviati da Federico Barbarossa al principe Andrey Bogolubsky di Vladimir e Suzdal non fossero tedeschi, bensì lombardi. Forse proprio il grande Wiligelmo e i suoi. Dopo Modena di loro non si sa più nulla. Perché non credere che siano andati proprio in Russia? Ioanissian però vuole andare ancora più a fondo e ritrovare le tracce di tutte le chiese medievali del suo paese, il più grande complesso al mondo di edifici religiosi in stile bizantino. Distrutte dopo l’invasione mongola, furono ricostruite dagli zar tra ‘400 e ‘500. “Ma l’accanimento contro la religione di molte stagioni della nostra storia ha fatto sì che sparissero progressivamente”, spiega. “Poi Stalin e Kruscev diedero il colpo di grazia. Le devastarono una a una, circa 100 mila il primo, 70 mila il secondo. Un’ecatombe”. Le poche chiese sopravvissute fanno oggi parte del Patrimonio dell’umanità dell’Unesco (http://www.unesco.org). Delle altre, Ioanissian va alla ricerca: prima le individua con la prospezione geofisica, poi, quando può, scava. Così, per esempio, l’anno scorso ha scoperto la vera tomba di Alexander Nevskij nel pavimento della cattedrale di Vladimir. E ora, sulla tomba, qualcuno porta sempre dei fiori.

Il vero pioniere della ricerca archeologica nelle città russe è però il “sovrintendente” di Mosca Alexander Veksler. Fu lui a chiedere per primo la collaborazione dei tecnici della Fondazione Lerici del Politecnico di Milano per indagare nel cuore della metropoli. Ed è lui a raccontare come le prospezioni hanno consentito di preservare gli edifici antichi sepolti, di 200 siti archeologici sottoposti a tutela quando prima ce n’erano solo quattro, di un centinaio di cantieri di scavo e restauro aperti, di quattro musei in allestimento che racconteranno la nuova storia della città. Parla dei resti del Neolitico scoperti di fronte al teatro Bolshoi. E parla del suo fiore all’occhiello, una legge comunale che obbliga tutti i costruttori della capitale a consentire l’indagine geoarcheologica prima di edificare.

Pare proprio che, almeno in questo, la “terza Roma” superi di molto la prima. “E’ stato un vero risveglio”, commenta Beliaev, “ed è tutto merito del sindaco Luskov che ha capito l’importanza della riscoperta della storia della città e ha voluto che una struttura comunale se ne occupasse direttamente”. Ma osserva: “E’ una vera febbre, si scava ovunque, spesso troppo e troppo in fretta. E’ il rovescio della medaglia. Prima si ignorava il passato e ora sembra una sorta di mania. Ma è sempre meglio il troppo di adesso, che il nulla di prima”.

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