Categorie: Società

“Mettiamo la memoria in rete”

Il Progetto è ambizioso: riversare su supporto digitale cinque milioni di libri, film, documenti della storia americana. Entro il Duemila. Potrebbe essere la prima vera Biblioteca virtuale della storia. E infatti il nome dell’iniziativa è proprio National Digital Library, un progetto fortissimamente voluto dal vice presidente degli Stati Uniti Al Gore e dal presidente della Camera dei Rappresentanti Newt Gingrich, due veri paladini delle cosiddette “autostrade elettroniche”. Persino i finanziamenti ci sono già: il Congresso ha appena stanziato trenta milioni di dollari, la metà di quanto serve a terminare il progetto.A parlare della National Digital Library è James H. Billington, in Italia per un ciclo di conferenze, ospite del Centro Studi Americano a Roma. Billington è dal 1987 direttore della Library of Congress, la biblioteca del Congresso americano. Negli Stati Uniti la chiamano “la Memoria d’America” : ma la Library of Congress, con i suoi 20 milioni di volumi in 460 lingue diverse, le sue 20 sale di lettura sparse in tre edifici arrampicati sulla collina del Campidoglio a Washington, la sua immensa collezione di quadri, manoscritti, documenti, film, video, è probabilmente la più grande biblioteca del mondo. Già professore di Storia russa all’Università di Princeton, grande conoscitore dell’Opera italiana, Billington è da qualche tempo anche un grande sostenitore dell’ingresso delle tecnologie informatiche nell’austero mondo delle biblioteche. E infatti la sua Library of Congress ha oggi un sito su Internet visitato ogni giorno da un milione e mezzo di persone, e 150.000 nuovi contatti al mese. Professor Billington, a cosa è dovuta la scelta di mettere on-line la Biblioteca del Congresso: crede davvero che il futuro delle biblioteche sia sulla rete Internet? “Diciamo che credo molto nelle tecnologie digitali come mezzo di promozione culturale e sociale. Soprattutto nel settore dell’educazione. Nel 1993, per esempio, è partito il progetto “American Memory”, una raccolta di 210.000 documenti della storia americana su Cd-Rom da distribuire nelle scuole. Il progetto ha funzionato molto bene, perché ha coinvolto le comunità rurali e isolate dove i bambini non sono abituati a leggere, non conoscono il valore del libro e si istupidiscono davanti al teleschermo. E invece, a differenza della televisione, l’editoria elettronica è interattiva, mette in moto il pensiero, stimola la curiosità. Ma da questo punto di vista Internet è ancora più potente: la sua forza sta nel mettere a disposizione dell’umanità un patrimonio sterminato di conoscenze, di diffondere in ogni angolo del pianeta il piacere della lettura, la cultura del libro, senza la quale non c’è democrazia. Il problema è piuttosto quello di inserirla in modo armonico nella nostra storia sociale”.In che senso?”Nel senso che bisogna fare attenzione a tre grandi rischi: il primo è quello di immaginare questo strumento di comunicazione come la “nuova televisione”, e dunque tornare a farne un uso passivo. Internet deve invece servire a promuovere e stimolare la conoscenza. E questo accade solo se puntiamo sui contenuti interattivi, che costringano le persone a pensare. Il secondo rischio è quello di vederla dominata da una forma di pubblicità ancora più potente di quella televisiva : gli spot a domicilio, personalizzati, direttamente sul proprio computer. Oppure di scoprirla inquinata da violenza e pornografia. E siccome su Internet la censura non ha alcun senso, questo rischio si combatte creando modelli validi da seguire, inserendo contenuti che amplino gli orizzonti della vita. Il terzo rischio è quello che l’elettronica riscriva il nostro passato, come accade quando sul computer la nuova versione cancella quella precedente. E invece lo scopo delle biblioteche in rete è proprio quello di conservare e diffondere la memoria, i valori di chi ci ha preceduto”.Eppure una biblioteca digitale disponibile liberamente su Internet pone dei problemi non indifferenti nel campo dei “diritti d’autore”. Come pensate di risolverli ?”Certo, quella del copyright è una questione spinosa, e non ancora del tutto superata. Per cominciare abbiamo costituito un ufficio legale per testi, immagini e musica. Ma in realtà il nostro obiettivo è quello di fornire un servizio soprattutto a scuole e biblioteche. In questo senso, il servizio deve essere gratuito. Noi non siamo venditori di un prodotto, siamo un servizio pubblico. E dobbiamo ampliare l’accesso della conoscenza agli utenti, non renderlo più complicato”.In questi giorni lei ha avuto modo di visitare anche alcune biblioteche italiane, compresa quella Vaticana. Crede che siano pronte per il grande salto nella rete? “Mi sembra che la rivoluzione informatica qui sia ancora un po’ indietro coi tempi. Non tanto per mancanza di volontà, quanto per problemi organizzativi. Ed è un vero peccato, perché nelle biblioteche italiane è racchiuso un patrimonio culturale inestimabile. Pensi cosa significherebbe mettere in rete tutti gli incipit, i manoscritti, le miniature, i codici, renderli disponibili al mondo intero. Questa è la vera diffusione della conoscenza. Non è solo una questione di gusto erudito. Credo invece che far conoscere le proprie radici culturali, e confrontarle con quelle di altri, sia l’unico modo per combattere i nazionalismi, per risolvere i problemi comuni, per andare oltre la competizione. Solo il libero scambio delle idee e delle informazioni permette di tollerare il dissenso”.Con l’ingresso in rete delle biblioteche, cambierà anche la funzione del bibliotecario?”Certamente cambierà, ma non in modo essenziale. Internet fornisce un immenso flusso di informazioni, un mare nel quale è facilissimo perdersi. E dunque, ancora più di prima, il bibliotecario deve essere in grado di orientare il lettore, deve saperlo indirizzare verso la sponda giusta, fargli strada in questa gigantesca messe di dati. Più che un custode della conoscenza, deve diventare il mediatore tra l’uomo e le nuove tecnologie. Altrimenti, il rischio è quello di creare una generazione di lettori-robot, capaci di vivere solo nella loro striminzita realtà virtuale”.

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