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Molestie sessuali: quanto pesano nella ricerca scientifica?

Lo scandalo hollywoodiano che ha visto come protagonista il produttore cinematografico Harvey Weinstein, accusato di molestie sessuali, e la successiva campagna #MeToo (anch’io) lanciata dall’attrice Alyssa Milano, con l’invito a tutte le donne a non tacere sugli abusi sessuali, hanno portato alla ribalta una realtà non nuova, certo, ma generalmente sottaciuta.  Ed è bene che se ne parli se si vuole, come si dice, promuovere la parità di genere nei più disparati settori, compreso quello accademico. E sì, perché anche la scienza non sembra esente dal fenomeno, come rivela una ricerca pubblicata sull’American Anthropologist, che riporta molestie e aggressioni sessuali vere e proprie tra le esperienze negative vissute dalle donne durante attività di ricerca sul campo, con conseguenze significative sul piano personale e professionale.

Lo studio approfondisce quanto emerso da un’indagine pubblicata nel 2014 sulla rivista Plos One che, indagando sulle esperienze maturate dai ricercatori nel corso di missioni scientifiche, aveva evidenziato alcune criticità legate alla mancanza di regole, o al loro rispetto, in particolare, per quanto riguarda la discriminazione di genere, comprese le molestie e le aggressioni sessuali. Un’indagine quantitativa svolta attraverso un questionario on line su 600 ricercatori (142 uomini e 516 donne) attivi in discipline diverse (scienze fisiche, della vita e sociali). In quell’occasione, il 35% degli intervistati (229 persone) si era detto disponibile a un’ulteriore intervista per approfondire gli argomenti trattati. Il nuovo studio, quindi, mette a fuoco le esperienze riportate da 26 di queste persone,  in gran parte donne (23 su 26) che svolgono attività di ricerca principalmente nei settori dell’antropologia e dell’archeologia (discipline dove le attività in loco sono molto comuni).

Le interviste, della durata di circa 30 minuti, erano basate su una serie di domande aperte, con la possibilità di riportare esperienze in contesti lavorativi diversi, sia negative sia positive. È stata in seguito effettuata un“analisi tematica”, per evidenziare una serie di temi emergenti nella prospettiva degli intervistati. Dei 54 contesti lavorativi inclusi nello studio, ben 36 sono stati descritti come privi di regole o con la presenza di regole ambigue, nel resto dei casi le regole esistevano ma raramente la loro inosservanza aveva conseguenze. Le manifestazioni più significative dovute all’assenza di un codice di condotta sono state abusi di potere di vario genere, molestie e aggressioni di vario tipo: avance sessuali, allusioni e battute riguardanti l’aspetto fisico, l’intelligenza o il genere. Tra le aggressioni sessuali non sono mancate intimidazioni, palpeggiamenti, baci e contatti fisici indesiderati, addirittura, tentativi di stupro.

Ciò che emerge chiaramente, secondo i ricercatori, è che la qualità delle esperienze fatte sul campo è influenzata primariamente dalla presenza o meno di regole e dalla loro piena applicazione, con conseguenze per chi le viola. Molte delle persone intervistate, per esempio, hanno dichiarato di essere state sottostimate nelle proprie capacità e competenze in ragione del loro genere di appartenenza piuttosto che delle loro capacità e competenze professionali. In alcuni casi, per esempio, alle donne erano riservati compiti specifici, come fare la spesa e cucinare per il gruppo. Con la conseguenza di creare situazioni di isolamento, disagio emotivo e minori opportunità di apprendimento e di avanzamento professionale. Per contro, le esperienze positive  hanno migliorato la qualità della ricerca e le possibilità di apprendimento e di carriera.

“Come ricercatori, abbiamo il dovere di  indagare i meccanismi che nelle carriere scientifiche perpetuano la discriminazione, che sia di genere o altro”, afferma l’antropologo Robin Nelson, primo autore dello studio. “Sarebbe ora che chi offende la sfera psicologica ed emotiva dei colleghi più giovani ne risponda. La formazione e selezione delle nuove leve è altrettanto importante dei risultati”.

Riferimenti: American Anthropologist, Plos One

 

 

Lorenzo Malisani

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