Morto un Napster se ne fa un altro

E’ morto Napster, viva Napster. Il destino della duplicazione di file musicali e della loro distribuzione via web, dopo la sentenza della corte federale americana di martedì scorso, non sembra diverso da quello della monarchia francese. Se la forza di quell’istituzione andava oltre la testa che reggeva la corona, lo stesso vale per la tecnologia utilizzata dai figli di Napster. Si chiama peer to peer ed è un sistema orizzontale di file sharing, ovvero di scambio e di condivisione dei file in rete, che non utilizza il supporto di un server centrale, ma collega direttamente i computer degli utenti tra loro. Ancora prima della legge era stato trovato l’inganno. Questa tecnologia infatti non è nuova e già una decina di anni fa veniva usata dalle imprese per lo scambio dei dati. La bravura dei freeloader (cioè chi scarica gratuitamente file dalla rete) è stata di renderla compatibile con il formato utilizzato per la trasmissione dei brani musicali. L’mp3 appunto. E adesso in rete ci sono già delle alternative alla comunità fondata dallo studente americano Shawn Fanning nel ‘99.

Che Napster venga chiusa o che si trasformi in un sistema a pagamento, come promette l’accordo con la major americana Bertelsmann, poco importa: sul Web esistono software più evoluti per scaricare la musica gratuitamente. Il sistema più noto di chiama Gnutella. I suoi ideatori lo definiscono “a prova di bomba nucleare. Non c’è governo, Fbi o affamati azzeccagarbugli che possano interrompere un protocollo per lo scambio di tecnologia” – così si legge sui siti del network. Gnutella infatti non è un vero e proprio sito perché altrimenti violerebbe le leggi del copyright come Napster. E’ innanzitutto una comunità di utenti che utilizza un programma freeware per la connessione e lo scambio di file non solo musicali. La comunità poi ha come riferimento diversi siti. Uno dei più aggiornati è www.gnutella.wego.com.

Il file transfer protocol è, dopo Napster, il sistema più diffuso per scambiare file musicali sul Web, con circa il 27 per cento dei 3 milioni di download giornalieri. Oltre a Gnutella si ispirano a questo sistema numerosi programmi di filesharing, tutti elencati al sito www.gnutelliums.com. Tra questi Hotline, MojoNation, Ohala, Napigator. Un altro sistema, ancora più avanzato, è Freenet che, oltre a poter garantire l’anonimato degli utenti, dispone di prestazioni particolarmente avanzate: impossibilità di censurare i contenuti, nodi criptati, ma anche adattamento del network alle esigenze del traffico di informazioni. Freenet è un po’ come una rete in cui ogni utente rappresenta un nodo. Le informazioni quindi si distribuiscono tra i diversi hard disk dei computer ed è impossibile sapere dove vengono registrate. Poiché non c’è alcuna forma di amministrazione interna, ogni volta che un file, per esempio un brano musicale, viene messo a disposizione da un utente (upload), questo si sposta sulla rete a seconda del punto da cui proviene la richiesta di download. Le informazioni inoltre si muovono in continuazione e non possono essere cancellate dal sistema, a meno che nessun utente le richieda e le scarichi per un lungo periodo di tempo. Con un vantaggio enorme: la rete non sarà mai bloccata, né per il sovraccarico di dati, né per operazioni di boicottaggio come quelle già usate contro i siti di Yahoo! ed Ebay.

Tuttavia Freenet presenta ancora parecchi limiti. Innanzitutto la disorganizzazione delle informazioni. Ma anche il sistema di ricerca dei contenuti, che attualmente prevede solo una consultazione per titolo del brano. Anche l’archiviazione dei dati e l’interfaccia potrebbero essere migliorate. Se quest’ultima fosse user friendly eviterebbe agli utenti di compiere una serie di passaggi prima di poter ascoltare un brano: scaricare il programma, configurarlo e imparare a utilizzarlo.

Considerando quindi la ricchezza delle alternative al dopo-Napster, sembra vera l’affermazione di Lawrence Lessing, un esperto di diritto della rete della Stanford University: “la Recording Industry Association of America (ovvero l’associazione degli industriali del settore che aveva citato in giudizio Napster per violazione del copyright) ha vinto la battaglia, ma ha perso la guerra, perché loro così sono diventati i ‘cattivi’”. “Ogni canzone tolta a Napster”, ha aggiunto Lessing, “farà aumentare la resistenza politica all’interpretazione estrema della legge di copyright”.

Una resistenza che per alcuni utenti era già cominciata lo scorso ottobre, quando Napster aveva annunciato l’accordo con la Bertelsmann, uno dei cinque colossi che controllano il mercato dei dischi, per diventare un servizio a pagamento. Già allora, in vista della trasformazione della più grande comunità musicale della rete o della sua chiusura, si era aperta la caccia ai siti alternativi.La loro presenza dimostra che nel futuro della musica in rete non ci sarà solo il modello del canone ipotizzato per Napster o quello dei siti come Vitaminic o Mp3. Anche il filesharing dei figli di Napster è una realtà. E non da martedì scorso.

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