Nella scienza l’Europa è poco unita

Di questi tempi dici Unione europea e pensi subito a concetti come moneta unicastabilità sovranità monetaria. In piena campagna elettorale, mentre si infervora il dibattito politico sui reali benefici economici della caduta delle frontiere e dell’adozione dell’euro, qualcuno si è invece chiesto cosa ne è stato della ricerca scientifica. I tentativi di unificare la scienza e l’innovazione a livello continentale, infatti, sono ben più vecchi dell’euro: già nel 1998 e nel 2000 l’Unione europea avviò iniziative come il Quinto programma quadro e l’Area europea della ricerca, allo scopo di integrare i programmi di ricerca e di sviluppo scientifico oltre i confini delle nazioni europee. Secondo quanto riportano su Science i ricercatori dell’Imt Institutes, Markets, Technologies) Institute for Advanced Studies di Lucca, tuttavia, le cose sono andate peggio del previsto: a oggi, dal punto di vista scientifico l’Unione europea rimane un insieme di stati debolmente accoppiati, che nella maggior parte dei casi portano avanti i progetti in modo indipendente e separato. Lo ha spiegato a Wired.it Fabio Pammolli, uno degli autori dello studio, docente di economia e management all’Imt. 

Pammolli, cosa avete osservato nel vostro lavoro?

“Sostanzialmente due fatti: il primo è una fotografia dell’attuale situazione della ricerca europea, che sembra più una collazione di sistemi su base nazionale che non una struttura integrata e transfrontaliera. Il secondo punto riguarda la dinamica: dal 2003 a oggi l’integrazione nell’Unione europea è progredita più o meno alla stessa velocità che negli altri paesi Ocse non europei. È un dato molto significativo, perché in Europa una quota consistente di denaro è stata dedicata a finanziare progetti di collaborazione scientifica e mobilità internazionale, mentre negli altri paesi Ocse questo non è avvenuto. Eppure, da questo punto di vista, siamo avanzati più o meno allo stesso modo”. 

Quali dati avete analizzato?

“Abbiamo studiato 2,6 milioni di brevetti (tutti quelli depositati presso l’European Patent Office nel periodo 1986-2010) e un campione di 250mila pubblicazioni scientifiche dal database Thomson ISI Web Of Science (nel periodo 1991-2009). Abbiamo georeferenziato tutte i dati e quindi abbiamo costruito cinque network: i coautoraggi, i coinventori, le istituzioni coassignatarie di brevetti, le citazioni di brevetti e la mobilità degli inventori. L’analisi dell’evoluzione temporale di questi network non ha rivelato differenze statistiche significative rispetto a quelli dei paesi Ocse non europei, il che ci fa dedurre che in Europa l’internazionalizzazione della ricerca non ha compiuto i passi avanti che ci si aspettava”. 

Qual è il motivo del mancato successo?

“Secondo noi i programmi hanno finanziato la collaborazione tra paesi diversi senza pensare abbastanza alla qualità. Sostanzialmente, è stato più un incentivo a mettersi assieme per ottenere i fondi a disposizione, che a collaborare su un progetto ambizioso. Bisognerebbe cambiare logica, andando nella direzione indicata da Helga Nowotny, presidentessa dello European Research Council: finanziare solo i più bravi e rendere i grant portabili all’interno dell’Unione europea. Un’altro aspetto è che, nonostante l’unificazione monetaria, l’Europa continua a essere frammentata: i concorsi universitari sono autarchici, la mobilità internazionale è ostacolata da barriere del mercato del lavoro (le pensioni, per esempio, su cui ancora non esiste una regolamentazione chiara), i salari sono decisi su base nazionale anziché europea. Sono realtà che vanno a detrimento dell’unificazione della ricerca”. 

Quali sono le misure da prendere per accelerare l’integrazione?

“Bisogna aggiornare il sistema universitario e della ricerca scientifica rispetto alle frontiere europee, non a quelle nazionali. E questo non vuol dire semplicemente tradurre in inglese il bando per un progetto di ricerca. La mobilità si agevola anche con l’apertura a una competizione meritocratica estesa a tutto il continente: se uno scienziato bravo si aggiudica un grant ed è in condizioni di muoversi, le università e gli enti di ricerca di tutta l’Europa cercheranno di accaparrarselo”.

Via: Wired.it


Credits immagine: mainblanche/Flickr

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