L’onda tossica dello tsunami

Uranio, cadmio, mercurio, rifiuti ospedalieri e di industrie farmaceutiche. Con la sua forza d’urto lo tsunami che ha colpito il sud est asiatico ha disseppellito e riportato alla luce sulle coste della Somalia la pattumiera tossica accumulatasi illegalmente per anni in questo paese. E ha dato inizio a una contaminazione dei suoli e dell’acqua che sta diffondendo nelle comunità di pescatori della costa delle insolite patologie: infezioni delle vie respiratorie, sanguinamenti dalla bocca, emorragie addominali. E’ l’allarme contenuto nel rapporto “After the Tsunami” dell’Unep, l’agenzia delle nazioni Unite per l’ambiente, dello scorso 22 febbraio e ripreso in seguito dal ministro dell’Ambiente somalo Mohamed Osman Maye, che da Nairobi, sede del governo in esilio, ha chiesto l’intervento della comunità internazionale. A questo appello si è aggiunto quello del Wwf Italia, che in una lettera alle Commissioni parlamentari sui rifiuti e sulla morte di Ilaria Alpi ha chiesto l’avvio di una missione che valuti gli elementi emersi dal rapporto e faccia nuovi approfondimenti sui traffici illeciti che collegano la Somalia all’Europa, in particolare al nostro paese.

Particolarmente colpite, secondo l’Unep, sono le zone di Obbia e Warsheik, due porti minori a nord di Mogadiscio, rispettivamente a 250 e 100 chilometri dalla capitale. Qui, come in altre zone, le onde dello tsunami hanno sollevato e distrutto i fusti contenenti rifiuti tossici e radioattivi, adagiati sui fondali o interrati nella sabbia della battigia, a volte sigillati in maniera rudimentale, e ha sparso il loro contenuto sul territorio: metalli pesanti, prodotti chimici reagenti usati negli ospedali, siringhe e materiale radioattivo usato in radiologia e radiografia, che minacciano l’intera costa orientale africana, la salute degli abitanti dei villaggi e le attività di pesca e agricoltura.

“L’Unep ha analizzato tutti gli effetti provocati dallo tsunami, ma l’opinione pubblica si è concentrata su quelli più eclatanti avvenute nelle zone più conosciute”, spiega Michele Candotti, esperto di cooperazione internazionale e segretario generale del Wwf Italia, “Quello dei rifiuti tossici, invece, è passato piuttosto inosservato fino a un lancio della Bbc, che collegava la situazione al commercio dei rifiuti tossici, e alle dichiarazioni del ministro somalo”. Una grave mancanza da parte dell’Italia, secondo Candotti, visto il legame dell’argomento con il fenomeno delle navi a perdere e l’uccisione proprio in Somalia della giornalista Ilaria Alpi.

Lo smaltimento illecito dei rifiuti da parte delle ditte di molti paesi europei trova ragioni soprattutto economiche: in Europa smaltire una tonnellata di rifiuti costa 1000 dollari, mentre in Africa solo 8. Un affare vantaggioso che va avanti da anni, complice anche l’inesistenza del governo locale, e che le associazioni ambientaliste hanno documentato in vari dossier dal 1994. Anche l’African stockpile programme che coinvolge numerose istituzioni internazionali e molti paesi africani nella rimozione di migliaia di tonnellate di pesticidi stoccati da almeno 40 anni senza norme di sicurezza, ha svelato almeno 1400 siti tossici in Africa dove si trovano sostanze chimiche bandite, come gli inquinanti organici persistenti, i cosiddetti Pops. “La Somalia è una terra di nessuno, non c’è nessuna forma di controllo, per questo gli arrivi di container pieni di rifiuti non sono mai cessati dagli anni Novanta”, continua Candotti. “Il nostro paese ha gravi responsabilità nel traffico di rifiuti, come ha accertato anche l’Unep che insieme al Parlamento somalo ha richiesto all’Italia un aiuto per le indagini e le operazioni di bonifica”.

Sebbene le analisi dell’Unep debbano ancora accertare la reale estensione delle dispersioni dei rifiuti sulle coste somale, resta evidente la necessità di un intervento e soprattutto un cambiamento nella gestione della questione ambiente, conclude Candotti, perché “se la competitività del sistema Italia o Europa passa attraverso il risparmio ottenuto dallo smaltimento illecito di rifiuti o dall’acquisto di risorse a basso costo è inevitabile che ciò diventi un abuso dei diritti ambientali e umani delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here