Spazio

Uno tsunami di onde gravitazionali, tra buchi neri e stelle di neutroni

A partire dalla loro scoperta teorica, ricavata dalle equazioni della relatività generale di Albert Einstein, abbiamo dovuto aspettare quasi un secolo per identificare sperimentalmente un’onda gravitazionale. E poi, rotto il ghiaccio, abbiamo cominciato a diventare sempre più bravi, e individuarne sempre di più, a intervalli temporali sempre meno rarefatti, fino al record di questi giorni: dal network di interferometri Ligo-Virgo, già responsabile della prima storica rilevazione del 2016 e di alcune delle successive, arriva oggi la notizia che in meno di cinque mesi (in particolare da novembre 2019 a marzo 2020) sono stati rilevati ben 35 segnali di onde gravitazionali, per una media di quasi 1,7 onde a settimana. Un vero e proprio “tsunami”, come l’hanno scherzosamente appellato diversi scienziati, i cui dettagli sono stati preliminarmente caricati sul server di pre-print ArXiv in attesa della pubblicazione su una rivista scientifica.

“Questo risultato”, ha commentato Susan Scott, astrofisica della Australian National University, “rappresenta un aumento di dieci volte nel numero di onde gravitazionali rivelate da Ligo e Virgo dall’inizio delle osservazioni. Abbiamo identificato 35 segnali: sono tantissimi, specie se si pensa, tanto per fare un confronto, che durante la prima sessione di osservazione, durata quattro mesi tra il 2015 e il 2016, avevamo rilevato soltanto tre segnali. Stiamo davvero entrando in una nuova era della rivelazione delle onde gravitazionali, e il fatto che le rivelazioni aumentano sempre di più ci sta fornendo parecchie informazioni sulla vita e morte delle stelle che popolano l’Universo”. Molto probabilmente, 32 delle 35 nuove rivelazioni sono relative a onde gravitazionali emesse da buchi neri in coalescenza: si tratta di un fenomeno che avviene quando due buchi neri che orbitano l’uno vicino all’altro vengono attratti dalla mutua forza gravitazionale e si fondono a formare un unico – ed enorme – buco nero. Il risultato di questa collisione è la generazione di una “perturbazione” dello spazio-tempo (l’onda gravitazionale, per l’appunto, simile all’onda che si otterrebbe gettando un sasso in uno stagno): individuando queste perturbazioni e studiandone le caratteristiche, gli astronomi sono in grado di determinare le proprietà dei buchi neri che le hanno generate.

Nella fattispecie, i segnali analizzati nell’ultima sessione di osservazione degli interferometri hanno permesso di svelare fenomeni impressionanti, tra cui il cosiddetto GW200220_061928 (GW sta, naturalmente, per gravitational wave), la fusione di due buchi neri di massa, rispettivamente, pari a 87 volte e 61 volte quella del nostro Sole, che hanno formato un buco nero avente una massa pari a 141 volte quella del Sole. Gli altri tre segnali sono, invece, relativi alla fusione tra un buco nero e (probabilmente) una stella di neutroni: anche in questo caso, si tratta di eventi di grande interesse astronomico, dal momento che ci consentono di inferire informazioni sulle stelle di neutroni (oltre che sui buchi neri), di cui al momento ancora non conosciamo con esattezza caratteristiche e comportamento. “Soltanto adesso”, ha dichiarato Christopher Berry, astronomo alla University of Glasgow, “cominciamo ad apprezzare la meravigliosa diversità tra stelle di neutroni e buchi neri. I nostri ultimi risultati provano che esistono stelle di neutroni di diverse caratteristiche e dimensioni: usando i dati di queste osservazioni, saremo più vicini a svelare i misteri dell’evoluzione delle stelle, i ‘mattoni’ del nostro Universo”.

Credits immagine: R. Hurt/Caltech-JPL

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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