Passeggiata preistorica

Passi umani. Appartenuti a tre individui che, oltre 300 mila anni fa, avrebbero percorso i sentieri scoscesi del vulcano Roccamonfina, in Campania. Le più antiche tracce fossili di impronte umane rinvenute sinora, straordinariamente “registrate” sui sentieri battuti dai tre sconosciuti, e divenute oggetto di uno studio apparso su Nature, a firma di ricercatori italiani. “Sono molti gli amatori dilettanti di fossili che mi segnalano di tanto in tanto reperti interessanti”, racconta Paolo Mietto docente di geologia stratigrafica presso l’università di Padova e primo autore dello studio, “ma la notizia del ritrovamento di queste impronte, giuntami lo scorso anno da parte di Marco De Angelis e Rodolfo Panarello (insegnante il primo, e tecnico laureato all’università di Cassino il secondo), mi ha subito incuriosito, sia per il contesto geologico in cui sono state rinvenute, sia per l’area, situata all’interno della depressione del Garigliano, in cui finora non era stato trovato nulla del genere”. Quando Mietto si reca sul posto, la sua curiosità è ulteriormente stimolata da un cartello su cui è scritto “Ciampate del diavolo”. “Secondo la tradizione popolare, infatti”, spiega lo studioso, “solo il diavolo avrebbe potuto camminare nella lava e lasciare impresse le sue orme nel materiale incandescente”.Le ricerche, che hanno coinvolto anche Giuseppe Rolandi, vulcanologo dell’università di Napoli, e Marco Avanzini, conservatore del Museo di scienze naturali di Trento, hanno però appurato che non si trattava di lava, bensì di materiale grossolano, zeolite, una sostanza minerale dotata di potere assorbente derivante dall’attività esplosiva del vulcano. “E’ stato davvero stupefacente”, continua Mietto, “vedere come questo materiale piroclastico abbia perfettamente conservato cinque piste: due percorse da animali, tre da esseri umani. Tre individui che sono scesi lungo i pendii di questo vulcano, seguendo percorsi diversi, in momenti di tempo differenti, ma non troppo distanti tra loro, compresi tra 385 mila e 325 mila anni fa”. Le impronte sarebbero quindi attribuibili all’uomo di Heidelberg, il più vecchio del mondo (escludendo l’Austrolopiteco, comparso circa cinque milioni di anni fa, ma appartenete al genere ominide, quello cioè delle scimmie morfologicamente simili all’essere umano), vissuto nel Pleistocene Medio e progenitore dell’uomo di Neanderthal. “Non sappiamo se fossero uomini o donne, adulti o bambini. Ma la presenza, evidente, dell’arco plantare conferma che si tratta di primati umani: bipedi che usavano le mani in termini funzionali”, spiega Mietto. I loro piedi, di cui è stato trovato anche il calco dell’alluce, misuravano circa 20 centimetri di lunghezza e 10 di larghezza (usando parametri “moderni” potremmo dire che calzavano il numero 34 di scarpa), la loro altezza si aggirava intorno al metro e mezzo e, soprattutto, il loro comportamento era simile al nostro. “Si sono mossi esattamente come avremmo fatto noi”, continua il ricercatore, “procedendo con passo costante e regolare lungo il pendio non troppo scosceso; a zig-zag lungo il piano inclinato di tre metri; trasversalmente, per rendere il cammino meno difficile e faticoso, lungo il tratto che pende quattro metri”. Proprio qui, tuttavia, si verifica un incidente: “nonostante le accortezze, uno dei tre scivola e si aggrappa con la mano alla parte laterale del pendio: sia la scia dei suoi piedi, che la forma del palmo aperto della sua mano, fossilizzatisi, stanno lì a provare quanto è avvenuto”. E forse proprio questo è il dato più stupefacente della scoperta: “finora, infatti, sono state trovate tracce di impronte solo su superfici orizzontali”, conclude Mietto. “Questi piedi invece hanno camminato su pendii inclinati di 30° e più, regalandoci una visione dinamica di questi esseri umani”.

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