Paul Dirac, l’uomo che giocava con le equazioni

“Ha contribuito più di chiunque altro nel secolo appena trascorso, con l’eccezione di Einstein, a far progredire la fisica e a trasformare la nostra immagine dell’Universo”. Così, qualche tempo fa, Stephen Hawking ricordava il fisico teorico inglese Paul Adrien Maurice Dirac, di cui l’8 agosto ricorre la nascita. Figura quasi leggendaria tra i fisici, Dirac fu il primo a elaborare, nel 1925, una teoria quantistica matematicamente consistente e a completare, l’anno successivo, la statistica quantistica degli elettroni approntata da Enrico Fermi.

L’interesse del giovane ricercatore per la fisica dei quanti era recente: dopo gli studi di ingegneria elettrotecnica e matematica applicata all’Università di Bristol, sua città natale, nel 1923 era passato come ricercatore all’Università di Cambridge e qui i suoi interessi si erano volti ben presto alla fisica teorica. Un campo di ricerca all’epoca in gran fermento. Da anni era noto che la meccanica di Newton non era adeguata per descrivere il mondo microscopico. I dati sperimentali sulla radiazione elettromagnetica emessa dagli atomi indicavano che alcune quantità fisiche, fra cui l’energia degli elettroni in un atomo, potevano assumere solo valori discreti, o quantizzati, senza passare, in contrasto con i principi classici, per stati intermedi. Le osservazioni imponevano così la costruzione di una nuova teoria.

Intanto, nel corso del 1926, Erwin Schrödinger aveva formulato la sua teoria quantistica nel linguaggio delle equazioni delle onde, nota come “meccanica ondulatoria”. Essa non sembrava però avere alcuna relazione con la teoria dei quanti di Werner Heisenberg, creata con il formalismo delle matrici. Ma, nell’autunno dello stesso anno, Dirac pervenne a quella che Einstein definì, “dal punto di vista della logica, la più perfetta presentazione della meccanica quantistica”, in grado di mostrare che le teorie di Schrödinger e Heisenberg non rappresentavano altro che due modi diversi per esprimere matematicamente le stesse leggi.

Forte del prestigio assicuratogli dai risultati conseguiti, nel 1927 Dirac partecipò, a Bruxelles, a un importante congresso di fisica teorica. Un giorno, durante una pausa, Niels Bohr gli chiese: “A cosa sta lavorando in questo momento?”. “Sto cercando di ottenere una teoria relativistica per l’elettrone”. E Bohr: “Ma Klein ha già risolto quel problema”. Dirac dissentì.In quel periodo alcuni fisici, tra cui Oskar Klein e lo stesso Schrödinger, nel tentativo di combinare la teoria quantistica con la relatività speciale avevano formulato un’equazione d’onda relativistica che Dirac trovava insoddisfacente, poiché dava luogo a probabilità negative di trovare un elettrone in una data regione dello spazio.

Dirac andò quindi alla ricerca di un’equazione d’onda relativistica alla quale fossero associate probabilità positive: la trovò, e i frutti del suo lavoro furono pubblicati nei primi mesi del 1928. Le soluzioni dell’equazione erano in ottimo accordo con i dati sulle energie della radiazione atomica e predicevano correttamente l’esistenza dello “spin” dell’elettrone (l’impulso caratterizzante la rotazione propria della particella).Rimaneva però un grosso scoglio da superare: l’equazione prediceva anche l’esistenza di elettroni con energia negativa. Dirac ipotizzò che, in condizioni normali, tutti gli stati di energia negativa fossero occupati (un elettrone per ciascuno stato, come richiesto dal principio di esclusione di Pauli) e che ciò non avesse alcuna manifestazione fenomenologica. L’assorbimento di un quanto di radiazione (fotone) dotato di sufficiente energia avrebbe portato un elettrone da uno stato di energia negativa a uno di energia positiva, lasciando al suo posto una “lacuna” nel “mare” di stati a energia negativa. La lacuna si sarebbe manifestata come una particella di energia e carica positive.

Dirac pensò dapprima che le lacune dovessero essere identificate con i protoni. Tale identificazione non era però priva di problemi e, nel maggio del 1931, lo scienziato compì quel salto mortale da lui definito semplicemente come “un piccolo passo avanti”: ipotizzò che le lacune si dovessero manifestare come “una nuova specie di particella, ignota alla fisica sperimentale, avente la stessa massa e carica opposta a quella dell’elettrone”. Alla fine di quell’anno, Carl Anderson fece il primo annuncio dell’evidenza sperimentale per la particella prevista da Dirac, denominata da questi anti-elettrone e ribattezzata in seguito positrone dallo stesso Anderson. Iniziava così la fisica dell’antimateria.

“Per la sua scoperta di aspetti nuovi e fecondi della teoria degli atomi e per le sue applicazioni”, nel 1933 Dirac, a soli trentun anni, condivise il premio Nobel per la fisica con Schrödinger. Solo un anno prima era stato nominato alla cattedra lucasiana di matematica a Cambridge (la stessa che fu di Newton e il cui titolare è oggi Hawking), posizione che mantenne fino al 1969, quando si trasferì all’Università della Florida, a Tallahassee.

Negli anni successivi, il fisico inglese si dedicò anche a questioni di elettrodinamica quantistica, di cosmologia e a problemi legati alla quantizzazione della gravità. Uomo assai schivo, del tutto indifferente agli agi materiali, Dirac fu sostanzialmente privo di interessi specifici al di fuori dei suoi studi. “Mi piace giocare con le equazioni, cercare relazioni matematiche belle, anche se magari non hanno alcun significato fisico”, disse una volta. Interlocutore non sempre facile, spietato cultore della logica nel discorso, per molti rappresentava l’incarnazione stessa della razionalità. Solitario nella sua ricerca, non formò mai una vera e propria scuola. Morì a Tallahassee il 20 ottobre 1984. Di lui, Niels Bohr disse: “Fra tutti i fisici, è quello con l’anima più pura”.

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