Più veloce della luce. Sino a qualche mese fa, nessuno all’infuori di un supereroe dei fumetti avrebbe potuto pronunciare questa frase. Ma dopo gli straordinari risultati dell’esperimento italiano Opera (Oscillation Project with Emulsion-tRacking Apparatus), anche i ricercatori hanno iniziato a prendere in considerazione la possibilità che il podio della velocità nel mondo delle micro particelle non spetti ai fotoni ma ai neutrini. A circa tre settimane dall’esperimento condotto dall’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) in collaborazione con il Cern di Ginevra,il server arXiv (un archivio che raccoglie le pubblicazioni scientifiche non ancora passate al vaglio della peer review della comunità scientifica) è stato intasato da oltre 80 pubblicazioni di ricercatori impazienti di spiegare cosa è successo nei Laboratori del Gran Sasso.
Alcune parlano di una nuova fisica, popolata da neutrini che viaggiano attraverso extra-dimensioni o che possiedono una tale energia da renderli più veloci della luce. Altre, certamente meno seducenti, chiamano in causa spiegazioni più ordinarie, che se non altro tolgono dall’impiccio il tanto chiacchierato Einstein. Tra queste, Adam Mann, su Wired.com, ne passa in rassegna alcune, che tentano di spiegare perché i risultati di Opera non mettono paura alla Teoria della Relatività Speciale.
Le prime obiezioni mosse a chi interpretava i risultati dell’esperimento del Gran Sasso come la prova che i neutrini siano più veloci della luce sono nate da un’osservazione astrofisica. Nel 1987, una supernova potentissima spruzzò sulla Terra una doccia di luce (cioè di fotoni) e neutrini. In quell’occasione, i rilevatori segnalarono l’arrivo dei neutrini circa tre ore prima della luce. Ma se Opera avesse ragione, è il calcolo dei ricercatori, i neutrini sarebbero dovuti arrivare ben quattro anni prima della luce. Come si spiegano, quindi, le tre ore di anticipo? Con la falsa partenza della luce, in un certo senso. Al contrario dei quasi inermi neutrini, infatti, i fotoni interagiscono molto con la materia. Ecco perché hanno impiegato più tempo ad arrivare sulla Terra: sarebbero stati bloccati in uscita dalle interazioni con i vari elementi del nucleo della supernova. I neutrini, invece, sarebbero riusciti a scappare subito.
Veniamo invece alle obiezioni teoriche mosse dal fisico Matt Strassler sul suo blog. Come suggerisce il ricercatore, secondo il Modello Standard (teoria quantistica che descrive tutte le particelle della materia e le loro interazioni fondamentali, a eccezione della gravità), se i neutrini viaggiano più veloci della luce, anche gli elettroni devono fare lo stesso. Quanto più veloce? Di almeno un miliardesimo, se possiedono la stessa energia dei neutrini (40 GeV, almeno come rilevato dai laboratori). Ma i fisici sanno che ciò non è possibile: nel vuoto, infatti, gli elettroni non possono superare la velocità della luce di oltre 5 parti su 10 15.
Molto meno, quindi, e ciò è in contraddizione con quanto atteso se i risultati di Opera fossero reali.
Siamo arrivati a una delle più recenti pubblicazioni negazioniste di ArXiv, che chiama in causa un problema di misurazioni. I ricercatori di Opera, infatti, hanno usato satelliti Gps per misurare il più accuratamente possibile i 730 km di distanza tra il Cern (dove è partito il fascio di neutrini) e i laboratori del Gran Sasso (dove sono arrivati). Ma la Relatività Speciale ci insegna che le misurazioni cambiano leggermente se gli osservatori si muovono l’uno rispetto all’altro. Dal momento che i satelliti viaggiano intorno alla Terra, è possibile che le posizioni rilevate della sorgente e del rilevatore non fossero quelle reali. In altre parole, che i 730 km misurati non corrispondessero alla realtà. E ciò, in termini di tempi di percorrenza del fascio dei neutrini, si tradurrebbe in una discrepanza di circa 64 nanosecondi, che è proprio quanto registrato da Opera.
Via Wired.it
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