Categorie: Fisica e Matematica

Perché il chilo pesa più di un chilo

Il chilo è ingrassato? Allora perché non metterlo a dieta? È quanto hanno pensato i ricercatori della Newcastle University posti di fronte al fatto che i prototipi del chilogrammo – repliche dell’originale, custodito all’Ufficio internazionale dei pesi e delle misure, vicino Parigi, usate per standardizzare le misure in giro per il mondo –  non pesano più un chilo esatto, ma tendono a prendere peso (meglio, massa). Ragion per cui gli scienziati britannici hanno messo a punto un metodo per rimettere in forma gli standard.

Nel mondo di repliche dell’originale sono quaranta, e dalla fine del Diciannovesimo secolo rappresentano il punto di riferimento per la standardizzazione delle misure. Una di queste repliche, la numero 18 si trova nel Regno Unito, custodita presso i National Physical Laboratory (Npl).

Già da qualche tempo però alcuni studi avevano sottolineato come il campione parigino stesse perdendo massa, ma dal momento che, come spiega Wired.com, le misure possono essere relative, se fosse l’originale a dimagrire o gli altri a ingrassare rimaneva poco chiaro. E la questione su come risolvere il problema, restava senza soluzione (anche piccoli cambiamenti infatti nell’unità di riferimento possono avere grandi ripercussioni su vasta scala nell’internazionalizzazione delle misure).

Come spiegano gli scienziati, infatti, malgrado gli sforzi messi in campo per mantenere i prototipi identici all’originale e tra loro, questi sono comunque soggetti a modifiche nel tempo. In particolare il deposito di contaminanti sulle loro superficie (soprattutto idrocarburi) contribuirebbe a far prendere massa ai campioni (sebbene si tratti di piccoli cambiamenti, neanche 100 microgrammi in più).

Analizzando con Spettroscopia fotoelettronica a raggi X (Xps) superfici simili a quella a base di platino che costituisce i prototipi, gli scienziati di Newcastle hanno messo a punto un sistema per ripulire i campioni dai contaminanti, così che possano essere alleggeriti. Come? Facendo loro una sorta di lampada abbronzante.

Il meccanismo proposto, illustrato sulla rivista Metrologia, funziona più o meno così, come spiega Peter Cumpson, a capo dello studio: “Esponendo la superficie a raggi Uv e ozono possiamo rimuovere la contaminazione carbonacea e potenzialmente ridare al chilo il suo peso ideale”.  Un lavaggio di raggi Uv e ozono infatti è in grado di allontanare i depositi dalla superfici senza danneggiarle, raccontano i ricercatori, spiegando i punti chiave del dispositivo da loro utilizzato (la Theta-probe Xps machine) per ripulire i prototipi: “A differenza di uno scanner per la risonanza magnetica, il nostro strumento ricava una sezione trasversale del materiale, ma a livello atomico. La seconda parte della macchina è la pistola a ioni di Argon – che spara gocce cariche, ognuna contenente circa un migliaio di atomi di argon – e che è quello che rende unico il nostro strumento. La pistola ad Argon ci permette infatti di analizzare i materiali organici senza danneggiare la superficie inorganica, in questo caso la lega di platino”. Il bagno in raggi Uv ed ozono è poi abbinato a un lavaggio in acqua pura per completare l’opera di pulizia.

In realtà, come spiegano gli scienziati non tutti i contaminanti possono essere rimossi. Se quelli a base di carbonio sono relativamente facili da allontanare (sebbene per ora i test siano stati eseguiti solo su superfici simili ai prototipi), lo stesso non può dirsi del mercurio, un tempo usato nei termometri, e più difficile da staccare. In futuro sarà necessario risolvere anche questo problema, insieme probabilmente all’istituzione di un nuovo standard per il chilo, che non sia più basato su un oggetto materiale, ma su costanti fisiche, come il numero di Avogadro, per esempio. Perché sul lungo termine potrebbe non bastare più mettere a dieta, sebbene con metodi standardizzati, i prototipi.

Via: Wired.it

Credits immagine: en:User:Greg L/Wikipedia

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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