I pesci pagliaccio contano le strisce sul corpo degli altri pesci, perché?

pesce pagliaccio
(Foto: Sebastian Pena Lambarri su Unsplash)

A quanto pare, Nemo sa contare. Un’abilità che usa per riconoscere i nemici da cui difendersi, che tra l’altro sono i suoi simili. I risultati di uno studio pubblicato su Journal of Experimental Biology, infatti, mostrano che i pesci pagliaccio della specie Amphiprion ocellaris, che presentano tre strisce bianche sul proprio corpo, tendono ad essere maggiormente aggressivi con gli esemplari che appartengono alla loro stessa specie (ma non alla loro stessa colonia). E gli esperimenti sembrano indicare che l’abilità nel distinguere una specie dall’altra sia proprio legata alla capacità di contare le strisce bianche presenti sul corpo dei propri simili.

Lo studio

Per cercare di capire come gli esemplari appartenenti alla specie Amphiprion ocellaris riescano a distinguere i propri simili dalle altre specie di pesci pagliaccio (o pesci anemone, nome legato al fatto che queste specie utilizzano gli anemoni come vere e proprie “case”), il gruppo di ricerca ha ideato e messo a punto due tipi di esperimenti. Nel primo i ricercatori hanno posizionato diverse specie di pesce anemone, ognuna caratterizzata da un diverso numero di strisce bianche sul corpo, all’interno di piccole teche in un una vasca contenente una colonia di Amphiprion ocellaris. Gli autori dello studio hanno poi osservato quanto spesso e quanto a lungo i pesci pagliaccio appartenenti a questa specie tendessero a scrutare e nuotare in circolo attorno alle diverse teche.

Nel secondo set di esperimenti, i ricercatori hanno invece messo la colonia di Amphiprion ocellaris a contatto con modellini di plastica rappresentativi delle diverse specie di pesci anemone, ovvero caratterizzati da un diverso numero di strisce (da zero a tre).

Non è solo la “quantità di bianco”

La frequenza e la durata dei comportamenti aggressivi nei pesci pagliaccio erano più alte verso i pesci con tre strisce come loro, mentre erano più basse verso i pesci con una o due strisce, e ancora più basse verso quelli senza strisce verticali”, racconta Kina Hayashi dell’Okinawa Institute of Science and Technology (Giappone), prima autrice dello studio. I ricercatori hanno ottenuto questo risultato in tutti e due i set di esperimenti messi a punto, sia quando sono stati utilizzati pesci pagliaccio “reali” che quando sono stati utilizzati i modelli in plastica. Questi ultimi non presentano, per ovvi motivi, altri tratti distintivi delle varie specie (comportamento, odore o altro) se non le strisce bianche dipinte sul corpo.

A questo punto sorgono spontanee due domande: ma i pesci pagliaccio non potrebbero riconoscere più semplicemente la maggiore quantità di colore bianco che caratterizza i pesci con un numero superiore di strisce? E poi, perché difendersi dai propri simili?

Alla prima domanda il gruppo di ricerca aveva risposto in uno studio precedente, pubblicato nel 2022 su Proceedings of the Royal Society B. In questo caso i risultati mostravano infatti che i pesci pagliaccio tendono ad essere molto più aggressivi verso pesci giocattolo che presentano strisce bianche verticali rispetto ad altri che presentano strisce bianche orizzontali. Il che sembra indicare che più che il colore bianco o la presenza in generale di strisce sul corpo dei propri simili, ad attivare il comportamento aggressivo sia proprio il pattern delle strisce verticali.

Per quanto riguarda la seconda domanda, la questione potrebbe avere a che fare con il mantenimento dell’ordine gerarchico all’interno di una certa colonia. I risultati dello studio più recente hanno infatti mostrato che ad attaccare gli invasori sono sempre gli individui cosiddetti “alfa”, i capo-branco per così dire, che quindi hanno un certo interesse nel mantere il propio status quo e non ammettere nella colonia possibili rivali.

“I pesci anemoni sono interessanti da studiare per la loro unica, simbiotica relazione con le anemoni del mare. Ma ciò che questo studio mostra è che ci sono molte cose che non sappiamo della vita negli ecosistemi marini in generale”, conclude Hayashi. Con un rimando non soltanto alla necessità di studiare, ma anche di proteggere ciò che ancora non conosciamo e di cui quindi non comprendiamo il ruolo dal punto di vista ecosistemico.

Via: Wired.it

Credits immagine: Sebastian Pena Lambarri su Unsplash