Spazio

Don’t look up, abbiamo un piano

Attenzione: questo articolo contiene spoiler.

In Don’t look up, il film Netflix diretto da Adam McKay, l’umanità viene spazzata via da una grossa cometa che si schianta sulla Terra. Lo si sapeva con mesi di anticipo ma il mondo (i governi) era distratto e alla fine la soluzione all’Armageddon, anche per l’assenza di Bruce Willis, non ha funzionato. Se sia una pellicola riuscita o no, o se la sua critica (in chiave ironica) all’indifferenza e alla procrastinazione delle azioni di fronte alla catastrofe annunciata del cambiamento climatico (questa sì reale) abbia o meno colpito nel segno, non sono gli aspetti che hanno suscitato l’interesse di Philip Lubin e Alex N. Cohen, due fisici dell’università della California-Santa Barbara che hanno analizzato lo scenario descritto e concluso che possiamo stare tranquilli: l’umanità può essere salvata, se si prepara prima.

Salvare l’umanità

Tralasciando qualche imprecisione scientifica, Don’t look up parla di una cometa simile all’asteroide che causò l’estinzione di massa di oltre 65 milioni di anni fa (quella dei dinosauri, per intendersi): un oggetto spaziale di circa 10 chilometri di diametro che viaggia a una velocità di 40 chilometri al secondo. “Assassini di pianeti” di questo tipo, ammettono i ricercatori, esistono, ma, in base alle osservazioni finora accumulate, sono molto, molto rari. Se però la loro orbita intercettasse quella della Terra, l’impatto avrebbe una resa distruttiva 40mila volte superiore a quella di tutti gli odierni arsenali nucleari insieme. 

Nel loro articolo (disponibile su arXiv.org ma non ancora sottoposto a revisione paritaria), i due fisici passano in rassegna diverse strategie che già oggi l’umanità potrebbe attuare per evitare l’impatto e quindi la sua estinzione. Nella selezione della strategia con più chance di successo, il fattore tempo è fondamentale, soprattutto se ce ne fosse pochissimo come in Don’t look up (sei mesi).

Al netto di tutto, la soluzione sarebbe quella di utilizzare una serie di penetratori nucleari con una resa combinata di circa 500 megatoni (efficienza ipotetica al 2%, calcolata sulla base di test nucleari sotterranei svolti negli anni ‘60), da lanciare cinque mesi prima del previsto impatto per intercettare l’oggetto in questione un mese prima dello scontro con la Terra. 


Il super telescopio James Webb è arrivato a destinazione


Minacce spaziali

Oggetti spaziali potenzialmente pericolosi per la sicurezza delle persone esistono e qualcuno alla fine arriva anche sulla Terra. Basti pensare a quanto successo nei cieli di Chelyabinsk (nella regione sud degli Urali) nel 2013, quando un meteoroide di 15 metri di diametro si frantumò alla velocità di 54mila chilometri orari, liberando un’energia di 500 chilotoni. Un’onda d’urto che provocò danni a cose e persone in un’area vastissima.

Per evitare che oggetti ancora più grossi minaccino l’umanità, esistono programmi ad hoc che si occupano di monitorare i possibili pericoli e di studiare in anticipo strategie di protezione planetaria. Ci sono già delle “prove generali” in atto: a novembre scorso (ve ne avevamo parlato qui) la Nasa ha lanciato Dart, una missione con lo scopo di testare le nostre capacità di deviare la traiettoria di un asteroide di dimensioni contenute. La sonda Dart, infatti, si schianterà contro l’asteroide Dimorphos. Idealmente non saremo mai in una situazione simile a quella descritta in Don’t look up, sostengono Lubin e Cohen: “Ma meglio pronti che morti”.

Via: Wired.it

Credits immagine: Justin W on Unsplash

Mara Magistroni

Nata e cresciuta nella “terra di mezzo” tra la grande Milano e il Parco del Ticino, si definisce un’entusiasta ex-biologa alla ricerca della sua vera natura. Dopo il master in comunicazione della scienza presso la Sissa di Trieste, ha collaborato con Fondazione Telethon. Dal 2016 lavora come freelance.

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