Piccole centrali crescono

Più del 50 per cento dell’energia idroelettrica messicana viene dal Chiapas, dove si produce il 20 per cento di tutta l’energia elettrica nazionale. Ma solo un terzo delle case chapaneche possiede un impianto e il 90 per cento della popolazione indigena non ha accesso alla luce elettrica.

Adesso, però, c’è un’eccezione. Grazie a un progetto di cooperazione internazionale che vede protagoniste due associazioni italiane di volontariato, le case e l’ambulatorio di La Realidàd, villaggio del Chiapas meridionale, avranno finalmente la corrente elettrica, che servirà anche per alimentare un ponte radio. Tutto grazie a un “microimpianto” idroelettrico tecnologicamente innovativo, a basso impatto ambientale, gestito in piena autonomia dalla popolazione locale. “L’aspetto più interessante di questo progetto è che rappresenta un nuovo modello di sviluppo energetico a favore dei paesi in via di sviluppo”, racconta Andrea Micangeli, uno degli ingegneri italiani coinvolti nell’impresa. “Non più impianti di grandi dimensioni, con investimenti ingenti e soluzioni imposte dall’alto, ma strumenti tecnologici adattabili alle esigenze locali, che ne rispettino i valori e i modelli sociali”.

Tutto comincia due anni fa quando il piccolo villaggio della Selva Lacandona, tra il municipio statale di Las Margaritas e quello autonomo di San Pedro, lancia un appello alla comunità internazionale per risolvere il problema dell’elettrificazione. A raccoglierlo sono due associazioni italiane: il Cirps, Centro interuniversitario di ricerca sui paesi in via di sviluppo e il Lita, Laboratorio itinerante di tecnologie avanzate. Dal confronto fra le esigenze espresse dalla comunità e le proposte avanzate dai tecnici italiani, nasce l’idea di realizzare un impianto indipendente dalla rete nazionale: un impianto idroelettrico, di piccola portata, che sfrutta un salto di appena 20 metri, ed eroga una potenza di 50 kilowatt.

“La nostra preoccupazione era che questo progetto non creasse un rapporto di dipendenza”, spiega Micangeli che lavora per il Cirps, “volevamo che l’impianto, una volta portato a termine, fosse gestito in piena autonomia dalla popolazione locale”. Per questo la comunità chapaneca è stata coinvolta in tutte le fasi del progetto: dalla stima del fabbisogno energetico alla scelta del modo in cui distribuire l’elettricità; dal dimensionamento dell’impianto ai rilevamenti tecnici dei dati pluviometrici e di portata del fiume. “Fin dall’inizio si è cercato di stabilire una comunicazione costante e continua con gli abitanti del villaggio”, prosegue Micangeli, “discutendo insieme ai loro rappresentati sulla gestione dell’impianto e sulla formazione dei tecnici che ne avrebbero curato il funzionamento e la manutenzione”.

Alla mappatura del sito, indispensabile per la progettazione della microcentrale, hanno infatti provveduto, accanto agli ingegneri e tecnici italiani, i rappresentanti della comunità. Inoltre molte parti dell’impianto, come le grate, le paratoie e le giunzioni della condotta forzata sono state costruite nei piccoli laboratori dei fabbri e dei tornitori locali. Solo pochi elementi meccanici sono stati importati adattandoli alle esigenze del caso. Per esempio, il disegno della girante, la ruota a pale messa in azione dalla caduta dell’acqua, è stato scelto in modo da poter essere riprodotto per altri impianti della stessa taglia da artigiani locali di carpenteria metallica.

L’idea dei volontari italiani, infatti, è stata proprio quella di ridurre al minimo l’apparato tecnologico occidentale per dare spazio alle tecnologie già note alla comunità. E rendere più agevole la realizzazione del progetto successivo: sfruttare il “know how” acquisito per dar vita a laboratori artigianali o semi industriali, gestiti da tecnici locali, in grado di produrre tutti i componenti di un impianto idroelettrico.

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