Salute

La più grande epidemia di ebola nella storia del Congo

Con 319 infezioni, l’attuale epidemia di ebola in Congo ha superato quella del 1976, la prima e la più grande mai registrata nel paese, ferma a 318 contagi e 280 decessi. A dichiararlo è stato Oly Ilunga, ministro della salute congolese, ricordando i numeri dell’epidemia che colpisce oggi la nazione: dall’inizio dell’emergenza il virus ha già fatto quasi 200 vittime, e per ora non accenna a placarsi. Resta alto inoltre il rischio che la malattia si diffonda in altri paesi dell’area, anche se l’Oms assicura che le nuove misure messe in campo nelle ultime settimane stanno avendo un impatto positivo.

La situazione

L’ultimo aggiornamento che arriva dall’Oms parla 319 contagi e quasi 200 vittime. Il focolaio principale è nella città di Beni, al confine orientale del paese, dove per ora sono stati registrati più di metà dei casi accertati. Per rispondere all’emergenza, nella Repubblica Democratica del Congo attualmente sono attivi 6 centri di trattamento che ospitano 91 pazienti. Tra le misure adottate per prevenire la diffusione del virus, ricordano inoltre dall’Oms, 27 mila persone sono state vaccinate con la strategia del vaccino ad anello, che prevede di inoculare fino a due gradi di distanza da un paziente: non solo chi entra in contatto diretto con un malato, ma anche chi potrebbe essere stato contagiato da questi contatti secondari.

Il vaccino, già usato per l’ultima epidemia (finita a luglio), è il Vsv-Zebov, non ancora in commercio ma diffuso per “uso compassionevole”: visto il rischio elevato viene usato anche se è ancora in fase di sperimentazione, e per questo si preferisce evitare per ora una campagna vaccinale rivolta all’intera popolazione. La stessa strategia che verrà replicata anche in Uganda, uno dei paesi a maggior rischio di diffusione dell’epidemia, dove è prevista la somministrazione di 2.100 vaccini agli operatori sanitari nelle 5 zone più a rischio al confine con la Rdc.

Le complicazioni

A peggiorare la situazione in Congo ci sono anche gli scontri che continuano a coinvolgere ribelli e forze governative nella provincia del Nord Kivu (area dove sorge Beni, focolaio principale della malattia). Un conflitto che, nonostante il recente intervento delle Nazioni Unite continua a intralciare il lavoro degli operatori sanitari. Non solo a livello logistico, ma anche creando disinformazione e sfiducia nelle popolazioni locali, che rendono difficili le operazioni di prevenzione, la somministrazione dei vaccini, l’applicazione delle norme di sicurezza per le sepolture e la tracciatura dei contatti con persone malate.

Per affrontare l’emergenza l’Oms attualmente sta sorvegliando le comunità locali, istruendo gli abitanti a tenere traccia di chi entra in contatto con i pazienti e migliorare così il monitoraggio delle zone poco accessibili agli operatori sanitari. Una strategia che ha portato a una riduzione di nuovi casi nelle ultime due settimane.

Secondo l’Oms, sebbene la questione sia grave, le misure di sicurezza stanno avendo un impatto positivo. E avere impedito finora al virus di diffondersi nei paesi confinanti può già considerarsi un risultato importante. “Stiamo affrontando molte difficoltà – spiega Jean Pierre Lacroix, segretario generale delle Nazioni Unite per le operazioni di mantenimento della pace – ma è incoraggiante vedere che gli sforzi abbiano successo in molti focolai e che stanno salvando delle vite”.

Alice Matone

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