Tutte le promesse della tele-immersion

“Il momento dell’Eureka” l’ha definito Jaron Lanier, padre della cosiddetta tele-immersion e coordinatore del progetto presso la società americana Advanced Network and Services. Attraverso un vetro polimerizzato che ha la funzione di coordinare i due punti di vista dell’occhio destro e di quello sinistro, Lanier ha visto le due pareti di fronte a lui dissolversi e al loro posto comparire due suoi colleghi nei rispettivi uffici, uno in New York e l’altro in Pennsylvania. Mentre lui stava comodamente seduto a Chapel Hill, una cittadina nel North Carolina.

Telepresenti in 3D

Sembra una scena di Star Trek e invece è accaduto l’ottobre scorso, durante una dimostrazione della tele-immersion. Il salto di qualità rispetto alla teleconferenza ordinaria è notevole: combinando tecniche di realtà virtuale e computer grafica per superare i limiti delle telecamere, la tele-immersion trasmette le immagini come se fossero “sculture viventi”, facendole apparire tridimensionali. Gli utenti, sebbene separati da notevoli distanze, possono così interagire, parlare e condividere lo stesso spazio fisico.

Per ora la strumentazione per realizzare la tele-immersion è molto costosa, ma Lanier è ottimista al riguardo: “Dobbiamo migliorare la tecnologia e renderla più economica”, spiega nel suo articolo comparso su Scientific American, “ma penso che già tra dieci anni potrà diventare di uso comune e allora i vantaggi e le svariate applicazioni saranno chiari a tutti. Ingegneri da vari parti del mondo potranno collaborare a uno stesso progetto, scienziati e studiosi da più continenti potranno consultarsi senza dover lasciare le proprie sedi, e saranno possibili perfino operazioni chirurgiche a distanza. La tele-immersion inoltre ridurrà notevolmente i viaggi di lavoro e arriverà a modificare in modo significativo le relazioni umane”.

Le prime prove di Prove di tele-immersion

I primi tentativi di rendere le teleconferenze più “realistiche” risalgono al 1993, quando venne proposta l’idea di usare più telecamere, ognuna per un particolare punto di vista. Nella tele-immersion vengono usate sette telecamere in serie per ogni persona. Le varie riprese vengono poi confrontate e sovrapposte al computer. Una soluzione semplice e geniale che però pone anche parecchi problemi. Innanzi tutto non è così semplice rimpiazzare l’occhio umano con delle telecamere: ci sono cose che l’occhio distingue grazie all’elaborazione del cervello, per esempio una tela completamente bianca su un muro dello stesso colore. Una telecamera non ha riferimenti per distinguere la tela dallo sfondo. Per superare il problema sono state introdotte delle lampade speciali, chiamate “imperceptible structured light”. Queste lampade forniscono una luce non continua, ma piuttosto “tremolante”. Tale tremolio non è percettibile all’occhio, ma fornisce dei parametri di riconoscimento per delle telecamere altamente specializzate. Proprio come lo schermo di un computer, che appare fisso all’occhio umano e “lampeggiante” quando ripreso da una telecamera.

Pensando a Internet 2

Un altro problema è l’enorme quantità di informazione da trasmettere per realizzare una tele-immersion rispetto a una normale teleconferenza. Di ogni partecipante vengono trasmesse svariate immagini contemporaneamente in quanto la persona deve essere vista da più direzioni e sotto più prospettive (una per ogni occhio di ciascun partecipante). Inoltre le figure sono in movimento e la scansione e ricostruzione delle immagini tridimensionali deve avvenire quasi in tempo reale. Tutto questo si traduce in termini di larghezza di banda: al momento serve una velocità di trasmissione di circa 20 megabit al secondo, con picchi fino a 80 megabit al secondo. Sono velocità ben al di là delle attuali possibilità della rete e l’obiettivo è quindi sviluppare tecniche di compressione dati migliori. La tele-immersion potrebbe diventare una delle applicazioni più interessanti di Internet 2, il nuovo network mondiale che sfrutterà una banda molto più larga rispetto all’Internet tradizionale.

“Il compito più gravoso che ci spetta nei prossimi anni”, spiega Lanier, “è riuscire a utilizzare computer sempre più potenti per compensare i ritardi nella trasmissione dei dati attraverso grandi distanze. Per esempio: per trasmettere bit da una costa all’altra degli Stati Uniti servono da 25 a 50 millisecondi. Una volta trascorso un tale intervallo di tempo non ci si possono permettere ulteriori ritardi nell’eseguire gli algoritmi che ricostruiscono l’immagine tridimensionale. Infatti, un ritardo maggiore di 30-50 millisecondi non solo distrugge l’illusione dell’effettiva presenza del proprio interlocutore, ma causa anche disorientamento e nausea nell’utente”.

Ma nonostante gli ostacoli da superare, Lanier per il momento si gratifica dei risultati sin qui ottenuti: “Per lavoro devo partecipare a molte videoconferenze”, racconta, “e ogni volta mi sento a disagio: non ci si può guardare dritto negli occhi e così non si capisce mai se i propri interlocutori approvano o meno quello che è stato detto. Per tutti coloro che come me detestano le teleconferenze, la tele-immersion è una grande innovazione per il futuro”.

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