Ogni anno in Italia si registrano tra i 45 mila e i 50 mila nuovi casi di tumore alla prostata diagnosticati con il test del Psa (l’antigene prostato specifico). Ma di questi nuovi casi, il 70% è a basso rischio, e solo il 30% è a rischio intermedio o alto. Il risultato di questa sovradiagnosi, che in alcuni casi sfocia nel sovratrattamento, è che nel 2007 sono state eseguite 30 mila Tac alla prostata inutili, per un costo di circa 30 milioni di euro.
Il dato arriva dall’incontro “Il tumore della prostata tra diagnosi precoce, certezze scientifiche e innovative prospettive di cura”, il 26 maggio scorso a Roma, cui hanno partecipato Giario Conti, Direttore dell’Unità Operativa di Urologia dell’Ospedale Sant’Anna di Como e presidente Auro.it (Associazione Urologi Italiani) e Giacomo Cartenì, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Oncologia Medica dell’Ospedale Cardarelli di Napoli.
Nel nostro paese, il tumore della prostata è la forma tumorale più frequente nella popolazione maschile: secondo alcune ricerche circa 1 uomo su 7 svilupperà una malattia clinicamente evidente, ed 1 su 33 ne morirà. Tuttavia, più della metà dei tumori a basso rischio può essere definito indolente: si tratta di neoplasie asintomatiche che hanno un decorso talmente lento da essere clinicamente non significative. Oggi – spiega Conti – le ricerche nel campo della genetica, dei biomarcatori e dell’immaging ci permettono di differenziarli in modo sempre più preciso da quelli aggressivi-degenerativi”.
Una volta evidenziata una neoplasia indolente, piuttosto che sottoporre il paziente all’asportazione chirurgica o alla radioterapia, è possibile inserirlo in un programma di sorveglianza attiva, monitorando continuamente lo stato di evoluzione della malattia. Così facendo, oltre la salute si cerca di salvaguardare anche la qualità della vita del malato. A questo proposito studi recenti registrano un numero elevato di casi di suicidio o infarto in seguito alla diagnosi di tumore alla prostata: gli effetti collaterali dell’intervento posso infatti essere in certi casi molto gravosi, comportare ad esempio l’impotenza e l’incontinenza croniche.
La sorveglianza attiva – continua Conti – trasforma la fotografia dello screening in un film ed è un approccio efficace. Il 94% dei pazienti sottoposti non ha fatto trattamento a distanza di 16 mesi. Il fatto che da noi non prenda piede, conclude l’esperto, è un problema culturale, più che economico.
Per questo la SIUrO ha stilato un decalogo per definire con maggiore precisione il ruolo del Psa nello screening del carcinoma prostatico. Tra i punti salienti, il fatto che il rapporto benefici/danni (riduzione di mortalità cancro specifica/effetti collaterali della diagnosi e dei trattamenti) non è a tutt’oggi sufficiente a giustificare uno screening di popolazione, e che l’utilizzo improprio del test può determinare un eccesso sia di diagnosi sia di trattamenti non strettamente necessari per malattie clinicamente non significative.
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