Fisica e Matematica

Quanta fisica c’è nello spumante: 4 regole salva perlage

Ottanta milioni di bottiglie, seicento milioni di euro di spesa complessiva: sono questi i numeri, secondo una recente indagine della Coldiretti, relativi al consumo di spumante in Italia durante le festività natalizie e il Capodanno. E se questo prodotto è così apprezzato è anche grazie alla scienza: il processo di realizzazione del vino frizzante, dalla fermentazione in bottiglia fino al momento dell’assaggio, è infatti governato dalle leggi fisiche della fluidodinamica e del comportamento dei gas.

In particolare, l’inconfondibile sensazione delle “bollicine” sul palato è dovuta all’anidride carbonica: una bottiglia standard da 750 ml ne contiene circa 9 grammi, cioè 11-12 g/l. Ecco le dritte degli esperti di Palate Press, rivista online statunitense, per minimizzare le perdite di anidride carbonica e preservare il cosiddetto perlage.

Le 4 regole per un buon brindisi con lo spumante

  1. Un calice stretto, ma non troppo. È risaputo che i calici (o flûte) sono più adatti a degustare lo spumante rispetto ai bicchieri tondi (quelli a coppa, tanto per intendersi), perché in questi ultimi la superficie di contatto tra liquido e aria è tre volte superiore, e quindi l’anidride carbonica si disperde molto più velocemente. C’è però un rovescio della medaglia. Oltre a solleticare il palato, le bollicine hanno anche la funzione di esaltare l’aroma del vino, favorendo la diffusione in aria delle molecole volatili aromatiche dello spumante in superficie. La stretta apertura del calice non lascia molto spazio al naso per apprezzare il profumo che si spande dal vino, come farebbe invece l’ampia bocca di un bicchiere tondo: si tratta dunque di scegliere tra gusto e olfatto.
  2. La bicchiere? Meglio non troppo brillante. Il processo di formazione delle bollicine è legato al tipo di vetro e a come il bicchiere è stato pulito. Le minuscole molecole di anidride carbonica hanno bisogno di irregolarità a cui “aggrapparsi”: un cristallo, una superficie ruvida, una bolla già formata. In gergo fisico, questo meccanismo è detto nucleazione eterogenea. Le bollicine crescono sui siti di nucleazione finché non sono abbastanza grandi per vincere la spinta del vino soprastante e salire un superficie. Piccole imperfezioni sulla superficie interna dei bicchieri, minuscole fibre lasciate dal panno usato per lucidare il vetro e particelle di polvere sono ottimi siti di nucleazione: in sostanza, questo vuol dire che in un bicchiere troppo pulito si formeranno meno bollicine.
  3. Come si versa lo spumante. Vale la stessa regola relativa alla forma del bicchiere: meglio minimizzare la superficie di contatto tra spumante e aria, versando il vino allo stesso modo in cui si spilla la birra. La bottiglia va quindi tenuta molto vicina al bicchiere; quest’ultimo, a sua volta, deve essere leggermente inclinato in modo tale che il liquido scenda delicatamente lungo un lato, senza creare turbolenze o vortici che favorirebbero la perdita di anidride carbonica.
  4. La temperatura giusta. Più alta è la temperatura, più velocemente si muovono le molecole di anidride carbonica dopo che lo spumante è stato versato: di conseguenza, il gas tende a diffondere rapidamente nell’aria, facendo perdere al vino la sua frizzantezza. Il consiglio è quindi di non servire lo spumante troppo caldo; ma anche in questo caso, bisogna trovare il giusto compromesso perché il freddo eccessivo diminuisce la percezione dei sapori e dei profumi.

Credits immagine: RLHyde/Flickr

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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